Negli ultimi anni il problema delle mafie nel mondo agricolo è diventato di nuovo di grande attualità. Nel 2011 il rapporto sulla Criminalità in Agricoltura curato dalla Fondazione Humus per la Confederazione Italiana dell’Agricoltura(CIA) evidenzia come l’agricoltura diventata il bersaglio preferito della criminalità rischia più di altri settori di essere ostaggio delle mafie che nascono nelle campagne e nelle campagne continuano a mantenere anche in seguito molti interessi. Parallela mente il secondo rapporto AgroMafie sui crimini agroalimentari in Italia, elaborato dal Coldiretti-Eurispes, stima che siamo di fronte a un volume di affari pari a circa 14 miliardi di euro nel 2013 con un aumento record del 12 % rispetto a due anni prima. E ciò in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva ancora subita dal Paese.
La criminalità organizzata di tipo mafioso è la ragione fondamentale alla base della diffusione globale anche del fenomeno della contraffazione delle merci come si ricava dal rapporto a cura dell’UNICRI(United Nations Interregional Crime anda Justice Research Institute) del 2012 e pubblicato dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico). Le organizzazioni criminali sono i veri gestori di questa attività illecita e hanno trasformato la contraffazione in una impresa illegale di produzione e distribuzione di massa. La contraffazione vale in media circa 6,9 miliardi di euro secondo gli ultimi dati a disposizione che risalgono al 2012 e sono stati pubblicati dal rapporto di quell’anno del Censis. I reati contro l’ambiente rilevati dal rapporto annuale di Legambiente hanno sempre una connotazione economica e sociale. Il business stimato dell’ecomafia è pari a 16,7 miliardi di euro all’anno :1,7 miliardi sono imputabili al giro di affari dell’abusivismo edilizio;6,7 miliardi agli appalti delle opere pubbliche,700 milioni di euro all’inquinamento ambientale;4,1 miliardi di euro alla gestione dei rifiuti speciali e urbani. Rilevante è anche il fatturato accumulato ai danni degli animali e della fauna selvatica pari a 2,5 miliardi di euro. Infine rientrano nell’ultimo gruppo di pubblicazioni le analisi di impatto cioè quanto la mafia costa alla società civile .
Il Mezzogiorno sopporta(ad esempio nel periodo 2004-2007 esaminato in un saggio recente) i costi in termini di PIL oscillano per le regioni del Sud tra i due o tre punti percentuali rispetto alla media nazionale che è di poco superiore all’uno per cento. Uno studio di Bonaccorsi di Patti condotto per la Banca d’Italia sulle condizioni di accesso al credito nel 2009 dimostra che le aziende che operano nelle aree ad alta presenza mafiosa pagano tassi di interesse più alti di circa trenta punti rispetto a quelli pagati nelle aree con bassa criminalità. I risultati ottenuti in Puglia e Basilicata che le due regioni sono passate da una crescita del prodotto pro capite che era più rapida di quella del gruppo di regioni del Centro-Nord a una più lenta:nell’arco di trent’anni, all’insorgere della criminalità organizzata di tipo mafioso sarebbe attribuibile una perdita di Pil di venti punti percentuali essenzialmente per minori investimenti privati. Confermano questa situazione i successivi lavori condotti nel 2009 da Ardizzi ed altri e Argentero ed altri sempre per la Banca d’Italia.