Accuratezza, curiosità, voglia di capire e di far capire. Questo ed altro era Emiliano Liuzzi

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Ci sono esistenze che vanno veloci e sono piene di tutto. Emiliano Liuzzi, giornalista del “Fatto Quotidiano”, scomparso improvvisamente all’età di 46 anni, ha avuto una vita così. E’ stato un cronista di grandi inchieste, ma anche un precario dopo una esperienza da direttore che aveva deciso di fare  lasciando la certezza di un posto sicuro.

Era fatto così, Emiliano, affrontava i cambiamenti con passo veloce. Non poteva sapere che non aveva tempo, ma si è mosso come se ne fosse consapevole. La sua morte ha lasciato sgomenti i tanti colleghi che hanno diviso con lui un pezzo di strada e i lettori che avevano imparato ad apprezzare lo stile asciutto, essenziale nella scrittura, rigoroso nelle verifiche. Un giornalista alla vecchia maniera, hanno detto tanti. Faceva il suo lavoro applicando le regole auree del giornalismo  in tutte le declinazioni della professione. Questo sia quando firmava una inchiesta sia quando aggiornava il sito del suo giornale.

Nato nel 1969 a Livorno, figlio d’arte di Livio Liuzzi, storico capo redattore del giornale toscano e successivamente per quattordici anni direttore della Nuova Sardegna. E proprio nell’isola Emiliano Liuzzi cominciò a muovere i primi passi nella professione, prima di andare a New York a fare un master in giornalismo alla Columbia University. Dall’America ai giornali locali del Gruppo Espresso, globetrotter si definì lui. Una lunga pausa, la più lunga della sua breve vita, al Tirreno di Livorno dove fece anche una esperienza sindacale nel comitato di redazione. E  quando poteva fermarsi, accelerò un’altra volta il passo per fondare il suo giornale: il Corriere di Livorno che gli portò grandi soddisfazioni ma anche il sapore amaro della crisi. Un periodo difficile di disoccupazione che lui, dopo, spiegava che gli era servito per capire tante cose “giusto il tempo _ scrisse ai suoi lettori del Fatto _ per capire che non sono stato io a dare una vita al giornale, ma il giornale a dare una vita a me”. Quando approdò al Fatto Quotidiano, semplicemente prese gli attrezzi del mestiere e ricominciò a usarli alla sua maniera: accuratezza, curiosità, voglia di capire e di far capire ai lettori il senso più profondo delle storie che raccontava. Ce l’ha fatta, ma non ha avuto abbastanza tempo. La vita può essere generosa nei talenti e crudele. I suoi due figli possono essere orgogliosi di lui.


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