Gli appelli, le mimose, il ricordo della battaglie: i siti e le bacheche dei socia sono piene oggi di dolore, speranze e rivendicazioni per celebrare la giornata della donna. Tanto è stato fatto e tanto c’è ancora da fare. Personalmente voglio dedicare l’8 marzo a quattro donne e a una bambina che non ha fatto in tempo a diventare donna: si chiamava Rawan, aveva otto anni ed è morta dissanguata dopo la prima notte di nozze con un adulto che aveva cinque volte la sua età, venduta per soldi dalla famiglia. E’ successo pochi giorni fa nello Yemen. E nello stesso giorno, sempre in quella terra falcidiata da una guerra che il mondo trascura, sono state massacrate Annselna, Judith, Margarita e Reginette. Quattro suore che assistevano anziani e disabili in un ospizio. “Donne di Dio: buone, libere, coraggiose. Serve cristiane dei più poveri e dei senza potere” ha detto il Papa denunciando l’indifferenza. Il loro sacrificio, passato colpevolmente sotto silenzio, mi ricorda l’omicidio di suor Leonella a Mogadiscio, che ho avuto il privilegio di conoscere, una vera sconosciuta eroina di chi non ama chi cerca e predica la pace. Come suor Marzia, sempre in Somalia, che mi rifiutò l’intervista perché preferiva dedicare quel tempo ai bambini e ad assistere altre donne. Eroine vere, vittime molto spesso di quello che è stato definito l’”odio diabolico”. Ma auguri anche a tutte e donne uccise per mancanza d’amore, come da noi, o per ignoranza come in Afghanistan o in Arabia Saudita. Auguri infine a tutte le donne che si ribellano, ma soprattutto a tutte quelle che non ne hanno la forza e che nella loro vita non hanno mai ricevuto un fiore, né un bacio.