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di Angelo Venti
Manifestazione in Piazza Montecitorio. Dito puntato sugli editori che avrebbero consentito l’identificazione degli agenti
Sul gazebo del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia), montato in piazza Montecitorio il 9 marzo 2016 , è stampato a caratteri cubitali: “Sciopero della fame, perché la verità non è reato: i caschi sono marci, la formazione e insufficiente, gli equipaggiamenti sono inadeguati, l’apparato debilitato dai tagli”. La manifestazione sindacale è stata organizzata per “denunciare la debilitazione dell’apparato della sicurezza e contro una serie di azioni repressive che si sono concretizzate in alcuni procedimenti disciplinari, tra cui quello a carico di un dirigente sindacale sospeso dal servizio, per aver mostrato durante una trasmissione televisiva l’inadeguatezza degli equipaggiamenti in uso alla Polizia”,
È presente il Segretario Generale del Sap, ispettore capo Gianni Tonelli, impegnato da oltre 40 giorni in uno sciopero della fame in segno di protesta. Tonelli, ha reso noto di aver ricevuto nei giorni scorsi un avviso di garanzia con l’accusa di aver diffuso “notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”, nel corso di interviste televisive in cui denunciava l’inadeguatezza degli equipaggiamenti della Polizia di Stato. Lo stesso provvedimento sarebbe stato emesso nei confronti di almeno altri quattro agenti di polizia, per gli stessi fatti.
Alla manifestazione di protesta del SAP hanno aderito altri sindacati di polizia. Fra questi, il PNFD (Polizia nuova forza democratica) che, nella nota con cui ha reso nota l’adesione, afferma che i poliziotti del SAP “stanno subendo una vera e propria persecuzione e gogna mediatica, solo per aver detto la verità sul reale stato dell’(in)sicurezza in cui versa il Paese ed in cui sono costretti ad operare i poliziotti nell’attuale contesto a rischio terrorismo e infiltrazioni mafiose”. Il comunicato fa implicito riferimento agli agenti che , con la garanzia dell’anonimato, hanno fornito informazioni e rilasciato dichiarazioni a giornalisti di alcuni programmi televisivi di inchiesta, ma sarebbero stati individuati aggirando il segreto professionale che è riconosciuto ai giornalisti e che i giornalisti oppongono di regola. Questo risultato è stato ottenuto eseguendo presso gli editori il sequestro dei filmati originali delle interviste.
Su questo punto, il PNFD afferma che l’atteggiamento inquisitorio nei confronti dei sindacalisti della polizia sarebbe stato “aggravato dal comportamento illegale ed irresponsabile tenuto dagli editori RAI e La7 che, violando l’art.2 della legge 69/1963, secondo il quale “giornalisti ed editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie”, oltre ad esporre pericolosamente e dannosamente i colleghi, ha determinato un pericoloso vulnus alla libertà sindacale, ma ancor peggio a quella di manifestazione del pensiero, informazione e critica”.
AV