Alcune riflessioni sulla richiesta del GIP di rinviare a giudizio per questo reato il sindaco di Verona, autore di una querela a Report Rai
La richiesta del gip di rinviare a giudizio per il reato di calunnia e diffamazione il sindaco di Verona, Flavio Tosi, per le accuse da lui formulate contro il giornalista di Report, Sigfrido Ranucci, accuse formulate in una querela per diffamazione a mezzo stampa archiviata in quanto ritenuta infondata ha interesse generale per vari motivi. Innanzitutto poiché dimostra che le leggi attuali consentono ai giudici di perseguire severamente, se vogliono, gli autori di querele infondate, pretestuose, strumentali.
Numerose denunce per diffamazione, non tutte, ovviamente, contemplano il reato di calunnia per il quale l’articolo 388 del codice penale prevede, in queste circostanze, la condanna da due a sei anni. La calunnia è un grave reato che raramente i magistrati perseguono d’ufficio. Nei confronti del querelante temerario che agisce con dolo, ovvero nella consapevolezza che il giornalista ha scritto il vero, il giudice dovrebbe più spesso rimettere gli atti al pubblico ministero affinché contesti il reato di calunnia al querelante, soprattutto quando la calunnia è documentale. Ciò di solito non avviene e invece dovrebbe essere sistematico, per ragioni di giustizia, per punire e prevenire un abuso divenuto frequente in Italia nei confronti di giornalisti che trattano notizie sgradite.
Molti commettono questo abuso allo scopo di intimidire e zittire chi è impegnato a riferire ai cittadini fatti di rilevante interesse pubblico, e quindi chi svolge una funzione di pubblico interesse. Le querele pretestuose non danneggiano soltanto il giornalista querelato ingiustamente, ma l’intera comunità sociale. Il danno sociale causato da questi abusi è grave ed evidente e tuttavia essi sono ampiamente tollerati e non sono perseguiti a termine di legge come si dovrebbe e si potrebbe.
Di solito fronte a una querela pretestuosa, i giudici si limitano ad archiviarla e, impiegando molto tempo per farlo, consentono che l’effetto intimidatorio si prolunghi nel tempo. Inoltre la chiusura di questi procedimenti non sempre consente al querelato incolpevole di recuperare le spese sostenute per difendersi dalle accuse e dimostrare di essere innocente.
Gli abusi si ripetono con la preoccupante frequenza segnalata dal notiziario e dalle analisi di Ossigeno per l’Informazione e confermati dall’importante Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sullo stato dell’informazione in Italia, approvata con voto unanime dalla Camera dei Deputati il 3 marzo 2016. E’ dunque tempo di dedicare una maggiore attenzione a queste vicende, anche riguardo ad altri aspetti finora trascurati.
Uno riguarda il comportamento di quei pubblici amministratori che promuovono querele immotivate spendendo soldi pubblici. Di rado la Corte dei Conti interviene per chiedere la restituzione di queste somme, e invece dovrebbe farlo di regola. Se ne può discutere?
Un altro aspetto trascurato, ancor più delicato, riguarda il comportamento dei legali che assistono professionalmente i promotori di querele e di cause per diffamazione palesemente infondate. Il diritto di difesa è sacro, nessuno vuole metterlo in discussione. Ma anche la nobile professione dell’avvocato ha un codice deontologico. Rispetta questo codice chi assiste il promotore di una querela o di una causa sapendo che essa non è basata su motivazioni chiare ed evidenti, oppure sapendo (o potendo facilmente verificare) che è addirittura basata su presupposti falsi? E cosa è accaduto a chi non ha rispettato questo codice? Anche su questo punto, a me sembra, finora l’attenzione pubblica non si è soffermata con abbastanza scrupolo. Non ho notizia di interventi chiarificatori dei consigli di disciplina dell’Ordine degli avvocati. Se è una mia lacuna, sono pronto a riconoscerlo. Se ne può discutere serenamente?
Terzo aspetto trascurato: il freno alle querele temerarie. Sull’esempio di altri paesi, il Parlamento italiano discute da anni, ma finora senza esito, la proposta di introdurre nei codici nuove norme, più efficaci, in grado di agire come deterrente contro il dilagante abuso strumentale delle accuse di diffamazione. Anche Ossigeno ha proposto dei deterrenti. Ogni tanto si litiga su questo tema, anche in Parlamento, ma non se ne fa nulla. Prevale l’opinione di chi ritiene che sia meglio evitare di introdurre ulteriori norme. Non sono d’accordo, ma rispetto chi la pensa così, e replico: allora perché non chiediamo tutti insieme di applicare in modo non episodico i deterrenti che ho elencato, e gli altri ben noti ed altrettanto inapplicati, che già sono previsti nel nostro ordinamento? Chi è disposto a discuterne?
ASP