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Pensioni, estorsione di Stato sulle ricongiunzioni

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Lo scandalo della ricongiunzione onerosa che tutti a parole denunciano e nessuno cambia e le altre ingiustizie pensionistiche. Iniziativa dei giornalisti alla Camera.
di Claudio Visani
La chiamano “ricongiunzione onerosa” dei contributi ma è una truffa bella e buona ai danni dei lavoratori. La legge 122 del 2010 fu partorita dall’allora ministro del lavoro Sacconi e approvata dal governo Berlusconi per impedire la fuga verso la pensione anticipata delle donne del pubblico impiego. Poi però è diventata norma “erga omnes” e oggi vale per tutte le categorie di pensionandi. La subiscono i lavoratori pubblici e privati, i dipendenti e gli autonomi, gli iscritti alle gestioni privatistiche dei professionisti, giornalisti compresi.

La legge stabilisce che se uno ha maturato gli anni di contributi e l’età sufficienti per andare in pensione ma i contributi li ha versati in gestioni diverse, affinché il suo diritto da virtuale diventi reale deve ricongiungerli in un’unica gestione. Non semplicemente cumularli, come parrebbe logico: no, ricongiungerli. In modo oneroso, per l’appunto. E non pagando, tutt’al più, la differenza contributiva tra le gestioni meno vantaggiose e quella più vantaggiosa: no: riscattando gli anni da ricongiungere come se in quegli anni non avesse lavorato, ex novo, come accade con il riscatto della laurea.

Ergo, se si è disoccupati, troppo vecchi per trovare un nuovo lavoro e troppo giovani per la pensione di vecchiaia, se si vuole andare in pensione anticipata bisogna pagare all’Inps, all’Inpgi o alle altre gestioni montagne di soldi. Altro che flessibilità in uscita: qui siamo al ricatto, all’estorsione di Stato.

A me hanno chiesto la bellezza di 400mila euro per ricongiungere una decina d’anni di contributi versati alla gestione separata dei giornalisti ai 30 che ho nella gestione principale Inpgi, e poter così andare in pensione di anzianità con le penalizzazioni per l’anticipo, com’è consentito dalla previdenza autonoma dei giornalisti. In attesa che entri in vigore la riforma restrittiva varata recentemente dall’Inpgi, infatti, a tutt’oggi con 35 anni di contributi e 57 anni di età i giornalisti possono ancora andare in pensione anticipata, con il 4% circa di penalizzazione sull’assegno per ogni anno che manca all’età pensionabile, oggi fissata a 62 anni.

Nella mia situazione ci sono centinaia di giornalisti over 55, vittime della crisi dell’editoria e della precarietà che porta ad avere sempre meno assunti (quindi meno iscritti Inpgi 1) e un numero sempre maggiore di “collaboratori” iscritti alla gestione separata Inpgi 2 (i dati ci dicono che ormai i media sono fatti per il 60% da giornalisti esterni alle redazioni), e ci sono complessivamente, secondo l’Istat, circa 600mila lavoratori.

Tutti, in Parlamento, sanno che la legge sul ricongiungimento oneroso è una “porcata”. Perfino coloro che l’hanno partorita oggi ammettono che c’è bisogno di correggerla. Ma alle proposte di modifica della norma i governi oppongono regolarmente lo stop della Ragioneria di Stato: “E’ una misura di finanza pubblica”, commentano apparentemente sconsolati. Che è come dire: “Sì, lo sappiamo pure noi che c’è una clamorosa ingiustizia, che andrebbe eliminata, ma non ci sono i soldi per farlo”.

Eppure non dovrebbe essere né così difficile né così oneroso. C’è in campo, ad esempio, una proposta di Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, che prevede, semplicemente, il cumulo non oneroso degli anni di contributi versati nelle diverse gestioni, ciascuna delle quali dovrebbe poi limitarsi a pagare il suo pezzetto di pensione, secondo le rispettive regole. Il risultato sarebbe: assegni più bassi, ma niente “tangenti” da pagare per accedere al pensionamento anticipato. Un meccanismo che già oggi sarebbe possibile, ma solo con il meccanismo della “totalizzazione”, ricongiungendo tutti i periodi contributivi nell’Inps, con forti penalizzazioni sull’assegno (il calcolo della pensione è contributivo) e con un’altra norma capestro: la così detta “finestra mobile d’uscita” che ti fa pagare la pensione soltanto 21 mesi dopo che hai maturato il diritto ad averla.

Su questi tempi, e anche per estendere ai giornalisti iscritti alla gestione separata Inpgi l’indennità di disoccupazione a tutt’oggi preclusa (la DIS-COL esiste solo per gli iscritti alla gestione separata Inps) e per chiedere tempi più rapidi e certi sulle cause di lavoro (oggi occorrono anche 8-10 anni per arrivare a una sentenza definitiva), io e la collega Daniela Binello abbiamo organizzato il primo marzo una conferenza stampa alla Camera. Erano presenti, tra gli altri, la deputata Marialuisa Gnecchi (Commissione lavoro), il senatore Giorgio Pagliari (Commissioni Affari costituzionali e Giustizia), il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti e i segretari delle Associazioni Stampa Romana e Aser. I parlamentari hanno annunciato nuove iniziative sul tema. Il sindacato dei giornalisti dovrebbe fare sua la battaglia che io e Daniela abbiamo rilanciato per modificare le norme più odiose delle ingiustizie pensionistiche. I primi banchi di prova saranno la legge sull’Editoria e il rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti.


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