Hamm: poco fa c’era più allegria. (Pausa), Ma è sempre così, alla fine della giornata, vero Clov ?
Clov: Sempre.
Hamm: È una fine di giornata come tutte le altre, non è vero Clov ?
Clov: così pare.
Pausa.
In questa triste occasione siamo costretti a smentire il pensiero di Clov, protagonista di Finale di partita di Samuele Beckett, l’opera d’esordio in teatro di Paolo Poli nel 1958, non è una giornata come tutte le altre quella in cui scompare un funambolo della meraviglia, colto, raffinato, superbo e perdutamente libero, non è una giornata come tutte le altre quella in cui la morte ci sottrae una sublime anima.
Paolo Poli, l’uomo che ha saputo vivere in rivolta contro l’oscurantismo, la censura e il pregiudizio, l’uomo che ha raccontato di appartenere a una “minoranza indesiderata” ci ha lasciato, in un venerdì santo scompare uno dei più grandi attori del novecento italiano, un artista di assoluta irriverente genialità, innovatore e trasgressivo, eterno fanciullo dai “molteplici volti nascosti” come lo definita Natalia Ginzburg, sempre a tu per tu con la parola letteraria.
La parola “alta” e la parola “bassa”, versi immortali della poesia italiana mescolati a canzoncine e canzonacce in quel liquido universo chiamato teatro, e gloriose indimenticabili scintille di bellezza scoccate tra cinema, radio e televisione. La sua ultima apparizione pubblica proprio al Teatro Niccolini, nella sua Firenze, in occasione della riapertura della sala dopo anni di abbandono.
Paolo Poli era, è, e sarà la risposta profonda, gaia, leggera, miracolosa al nostro bisogno di puro incanto:
Hamm: Non cantate!
Clov: (voltandosi verso Hamm) Non si ha più diritto di cantare?
Hamm: No.
Clov: E allora come vuoi che finisca?
Hamm: Perché, tu vuoi che finisca?
Clov: Io voglio solo cantare.
Hamm: Non potrei impedirtelo.
“Finale di partita” Samuel Beckett
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