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Paolo Poli, “attore scomodo e irriverente, ma mai volgare né banale”. Intervista a Pino Strabioli

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Se ne va Paolo Poli, un grande del teatro e della cultura. Italiana e non solo. Lo vogliamo ricordare attraverso un’intervista all’attore e conduttore Pino Strabioli, con cui avevamo parlato di lui in occasione di “Colpo di scena”, il loro programma andato in onda lo scorso anno su Rai3.

“Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume” scriveva Paul Valery. “Si deve essere leggeri come l’uccello, e non come la piuma”. Se il poeta e aforista francese fosse ancora vivo innalzerebbe il grande attore teatrale Paolo Poli ad emblema di quella leggerezza. Che non è inconsistenza ma sottrazione di peso alle cose. “Fra i suoi molteplici volti nascosti – scriveva di lui Natalia Ginzburg – c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza”.
Lontano dalla tv per quarantacinque anni Paolo Poli torna eccezionalmente su Raitre con “E lasciamoci divertire” da sabato 20 giugno in prima serata. Otto puntate sui vizi capitali. Conversazioni in libertà tra arte, letteratura e confessioni private condotte da Pino Strabioli che al nostro giornale parla di televisione e di teatro. E di Paolo Poli, “attore scomodo e irriverente, ma mai volgare né banale”.

Da dove nasce l’idea di questo programma?
Lo scorso anno dopo aver fatto otto puntate di “Colpo di scena” su Raitre, ritratti di otto grandi artisti, nel discutere con il direttore della rete Andrea Vianello ci interrogavamo su un programma da fare per l’anno successivo. “Vorrei tanto riportare in televisione Paolo Poli” mi disse Vianello. Gli risposi che vedevo la cosa difficile. Con Paolo avevo fatto uno spettacolo teatrale “I viaggi di Gulliver” e un libro “Sempre fiori mai un fioraio”. C’era pertanto un intenso rapporto di amicizia e collaborazione ma ero scettico sul fatto che potesse accettare. Infatti all’inizio declinò la proposta, ma poi dopo richieste più insistenti mi disse: “Va bene, facciamolo!”.

Nei brevi post sui social network non si svela la trama delle vostre puntate ma ricorrono alcune parole emblematiche: vizi e peccati.
E’ così, sono proprio i sette vizi capitali il filo conduttore delle otto puntate, l’ultima delle quali dal titolo piuttosto eloquente “Elogio del vizio”. Il programma non è altro che una serie di conversazioni libere sui vizi, visti attraverso la letteratura, l’arte la vita stessa di Paolo Poli e l’arte. Lui in ogni puntata racconta e legge una novella di Boccaccio, recita una poesia di Aldo Palazzeschi e ci racconta il suo rapporto con il vizio. Nell’anteprima poi abbiamo lo psicanalista Massimo Recalcati che inquadrerà il vizio in maniera più scientifica.

Come si affronta il tema del vizio in tv?
La televisione è di per se è un vizio. Se inizi a farla poi ti piace, ti seduce, la gente ti riconosce. Ti fa diventare un pò superbo, alimenta la tua vanità. In fondo anche per me è stato così da quando ho cominciato, nel 1993. Ma per Paolo Poli non è stato così. L’ultima volta che lui ha fatto tv è stato quarantacinque anni fa e poi ha sempre resistito alla tentazione della televisione preferendo il teatro.

Il vizio che vi ha stuzzicato di più?
Paolo Poli dice sempre i vizi non gli appartengono e che sono una cosa naturale dell’uomo. Ma quello che stuzzica di più è senza dubbio la lussuria. E sarà divertente ascoltare Poli raccontare anche alcuni episodi della sua vita privata come quando da bambino gli capitò in mano il primo libro pornografico.  C’è poi un altro vizio che non credevo fosse così interessante su cui riflettere che è l’accidia, un termine che spesso non sappiamo neanche cosa significhi. E’ La noia di vivere, la tristezza, quello più vicino alla depressione. Ma poi esiste anche un’accidia creativa. Paolo dice che i momenti più felici della sua vita sono quando sta a letto solo con un libro…

Flaiano ha definito Poli “il professorino malizioso”. Per te chi è?
Un uomo di grande cultura che sa trasmetterla con leggerezza e talvolta con irriverenza. Mai volgare o banale perché lui non lo è, anche quando prova ad esserlo.

Un artista anche scomodo?
Indubbiamente. Non ha mai fatto mistero della propria omosessualità. I suoi travestimenti furono molto contestati. Nel 1967 portò in scena Santa Rita da Cascia e fu censurato e bloccato addirittura da interpellanze parlamentari. Ma scomodo può esserlo ancora oggi. Lui davvero non invecchia, è una sorpresa continua.

Nel programma quanto c’è di costruito e quanto di improvvisato?
Gli autori hanno fatto un bellissimo lavoro di costruzione. I quadri, i libri sul vizio… Tutto confezionato con intelligenza. Ma nelle conversazioni con Paolo non si prepara niente. Non ha mai voluto sapere prima il contenuto di una domanda, non ha mai letto il copione. Sempre “buona la prima”! La sua cultura, la sua libertà di pensiero, la capacità di improvvisare fanno di lui uno degli ultimi grandi intellettuali del Novecento. Secolo al quale lui dice di appartenere non solo anagraficamente ma perché, nel secolo attuale, dice che proprio non ci si ritrova…

Teatro e tv, come convivono oggi?
Molto male. E abbiamo grande nostalgia della bella televisione dei vari Gassman o Albertazzi che provenivano dal teatro e si divertivano a venire in televisione. Oggi sono due mondi completamente distaccati. La tv non fa niente per il teatro. Andare con quattro telecamere per riprendere uno spettacolo e riprodurlo pari pari in tv è di una noia mortale. E’ un documento ma è freddo, non emoziona. Dovremmo imparare a raccontare il teatro in tv. Proprio come fa Paolo Poli.

Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv


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