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Libia, non c’è un argomento valido per scatenare una guerra

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Per chi – come me – ha avuto la fortuna di nascere negli anni 50, la guerra è solo un racconto. Doloroso, ma riportato, non vissuto. Eppure, mi colpisce la disinvoltura con cui si sta parlando di andare a fare la guerra in Libia. Con l’ambasciatore americano che ha la sfrontatezza di affermare che  “si aspetta” almeno 5000 uomini. Il governo francese, che chiede massima condivisione (ma quando ha bombardato Gheddafi ha fatto un disastro da solo). E tutti pronti a riconoscere la leadership delle operazioni all’Italia, in modo da fare la guerra con i morti degli altri.

Gli esperti studiano interventi chirurgici. Ma ormai, la complessità degli scenari geopolitici non è più compatibile con le grossolane soluzioni militari. Anzi, spesso le bombe radicalizzano la situazione e in Libia potrebbero azzerare di colpo tutti i progressi raggiunti con fatica per dotare il paese di un governo unitario, proprio nella delicata fase finale. In più, fornirebbero agli jihadisti una formidabile arma di propaganda e reclutamento.
No, non c’è un argomento valido per scatenare una guerra in Libia. Mentre ce ne sono molti per dispiegare forze di interposizione, una volta che il governo libico si sia formato e abbia ufficialmente chiesto un intervento di protezione internazionale. Sembrano formalità, ma fanno la differenza tra invadere un paese travolgendo i suoi sforzi per riprendersi e invece affiancarlo nella fragile fase della ricostruzione delle proprie istituzioni sovrane.
Renzi non vuole accelerare. Una volta tanto sono d’accordo, ma non basta. Qui si tratta di frenare. E sia il Parlamento a farlo, ricordando che abbiamo una Costituzione che ripudia la guerra non per vigliaccheria, ma per lungimiranza.

 


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