Le elezioni in Iran, quale scenario?

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Un analista, Lawrence Korb che, dopo alcuni anni di esperienza con il presidente repubblicano Reagan, ora lavora come consulente per il Center of American Progress  che si batte per la candidatura democratica di Hillary Clinton, ha detto che la scommessa degli Stati Uniti è stata vinta perché ora “Teheran  è pronta per cambiare. ” L’accordo nucleare firmato il luglio scorso a Vienna: aiutare i moderati a erodere il potere degli ayatollah  e dare alle giovani generazioni iraniane l’incoraggiamento per “un futuro diverso”.

Naturalmente contano gli affari con l’Iran finalmente libero dalle sanzioni che prevedono miliardi di dollari. Certo mancano ancora i risultati definitivi ma, a giudicare dai risultati pervenuti finora e che comprendono il voto del sessanta per cento degli elettori su 55 milioni di abitanti del Paese, la linea politica “pragmatica” e realistica del presidente Hassan Rohani  è quella che ha patrocinato l’apertura ai capitali stranieri e vuol modernizzare le infrastrutture industriali, finanziarie ed economiche del suo Paese.

Il fronte dei moderati ha avuto in Akbar Haschemi Rafsianjani ,vecchio rivale dell’attuale guida suprema Ali Kamenei,un formidabile supporto. Le correnti che formano l’attuale aggregazione politica (non si può parlare di un partito di tipo occidentale) al potere ci sono quattro correnti: quella riformista e quella centrista che formano insieme il campo moderato e quella tradizionalista ed estremista (i cosiddetti principalisti).

Nel voto del 26 febbraio scorso, secondo gli analisti, hanno avuto un’enorme influenza le donne e i giovani sotto i trentacinque anni che rappresentano più del sessanta per cento della popolazione  e sono sempre stati con i riformisti.  A queste elezioni gli iraniani hanno votato il proprio destino non solo scegliendo i 290 parlamentari ma anche gli 88 membri della nuova Assemblea degli esperti, organo istituzionale composto da religiosi sciiti (eletti ogni otto anni a suffragio universale). Ad essi spetta la nomina della Guida Suprema (o Rahbar) che ha il controllo delle forze militari  e del corpo giudiziario, di fatto c’è nelle sue mani tutto il potere della Repubblica Islamica. Alì Khamenei è Guida Suprema dal 1989 ed ha 76 anni. L’Assemblea degli Esperti potrebbe eleggere il suo successore. Rafsanjani fu grande sponsor di Khame nej e poi è  andato in rotta di collisione con l’Ayatollah. Oggi si è preso la sua rivincita  ottenendo nella circoscrizione di Teheran 652 mila voti come Rohani  e dei sedici seggi riservati a Teheran su 88 complessivi, tredici sono andati alla sua lista. E questo, nonostante le accanite sforbiciate del Consiglio dei Guardiani(6 giuristi e 6 teologi) per decapitare i candidati dello schieramento riformista e mantenere così i candidati alle cariche pubbliche e mantenere così l’egemonia dei conservatori. I riformisti hanno denunciato che solo trenta dei loro tremila candidati erano stati ammessi. In realtà, il vero scontro è all’interno del vasto schieramento conservatore soprattutto tra i difensori della dimensione teocratica dello Stato. Due anni fa, uno di questi conservatori, Ali, presidente del Parlamento ha assicurato il suo appoggio a Rohani e questo ha assicurato  il passaggio di molti deputati dalla parte del presidente attuale. In ballo ci sono cospicui interessi economici ed il livello di controllo che lo Stato eserciterà sugli investimenti stranieri. Gli investimenti stranieri sono ormai giudicati indispensabili ma sono anche una minaccia per i capi dell’apparato statale. Rohani è presidente dal 2013 e l’inflazione è limitata ma la disoccupazione resta alta e si colloca al trenta per cento. A giorni dovrà presentare il piano per i prossimi due anni con riforme fiscali e del mercato del lavoro.  Lui confida nel pragmatismo universale ma non sa ranno anni facili perché il Paese è diviso tra la capitale aperta ai moderati e sacche profonde di conservatorismo e nazionalismo ostile all’arrivo delle forze “nemiche” in quanto straniere,  presenti in tutto il Paese che due anni fa scelse i conservatori perché  la gente non aveva lavoro.


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