BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La Libia, i migranti e la latitanza dell’Europa

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Ci siamo giustamente indignati per le dichiarazioni di Donald Trump in merito alla costruzione di un muro ai confini con il Messico, per giunta a carico del governo messicano, abbiamo gridato allo scandalo e condannato il candidato repubblicano su tutti i giornali, i siti e le riviste, tacciandolo di xenofobia, populismo e razzismo da Ku Klux Klan (non a caso, un autorevole membro di quella congrega gli ha garantito il proprio sostegno).

Ci siamo giustamente indignati e abbiamo condannato con asprezza il muro eretto da Netanyahu in Cisgiordania, fonte di infinite tensioni con i palestinesi nonché inutile e inesistente difesa nei confronti di una rabbia dilagante che, di giorno in giorno, non fa che accrescere il peso politico di Hamas e dei fautori della lotta politica estrema, quando non apertamente terroristica. Fremiamo giustamente di sdegno quando leggiamo sui libri di storia a quali trattamenti iniqui e disumani fossero sottoposti i nostri avi che sbarcavano a Ellis Island o in qualche paese sudamericano in cerca di fortuna e di un avvenire migliore per sé e per la propria famiglia. Tutto giusto, e noi? Dico: ma noi europei ci siamo guardati allo specchio? Ma ci rendiamo conto o no di essere diventati dei mostri, delle belve, non oso scrivere dei carnefici ma non siamo molto lontani da questa definizione? Ma è mai possibile che persino una persona seria come la cancelliera Merkel, dopo aver compiuto un gesto mirabile a inizio settembre, promettendo accoglienza a tutti i profughi siriani, passata l’ondata di commozione legata alla tragedia del piccolo Aylan, sia caduta vittima della cialtronaggine dell’ala più estremista del suo stesso partito?

Possibile che, dopo aver condotto alla rovina la Grecia, rifiutandosi di salvarla quando sarebbe bastato un prestito sostanzialmente esiguo, il tutto per un mero calcolo elettorale, adesso la Cancelliera voglia fare il bis nei confronti dei disperati in fuga dalla miseria e dalla guerra per non rischiare di perdere i land del Baden-Württemberg, della Renania-Palatinato e della Sassonia-Anhalt?  Possibile che quest’Europa sia governata unicamente da politici, per non dire spesso politicanti, interessati solo alla propria carriera e all’orizzonte elettorale contingente e non da statisti interessati non dico alle prossime generazioni ma, quanto meno, a ciò che potrebbe accadere nel Vecchio Continente nell’arco dei prossimi cinque-dieci anni?

E che dire del governo italiano e di come sta gestendo la crisi libica? Può mai esistere un esecutivo che combina pasticci anche quando in ballo non c’è lo scontro con la minoranza del PD ma la vita di migliaia di soldati e di milioni di civili di un paese, la Libia per l’appunto, in preda al caos e, di fatto, già caduto nelle mani dell’ISIS?

Ha senso che il Presidente del Congislio prima chieda alla comunità internazionale di guidare in prima persona la missione in Libia e poi annunci, in quel santuario dell’analisi geopolitica che è lo studio domenicale di Barbara D’Urso, che finché a Palazzo Chigi ci sarà lui l’Italia non manderà soldati nella terra che fu di Gheddafi? Noi saremmo anche d’accordo, specie alla luce di ciò che accadde nel 2011, quando l’errore di Napolitano nell’assecondare le pulsioni belliche di anglo-americani e francesi costrinse il governo Berlusconi a impelagarsi in un labirinto di sangue e di orrore dal quale, cinque anni dopo, non solo non siamo ancora usciti ma ne vediamo, al contrario, le potenzialità catastrofiche.

E possono mai coesistere, nello stesso esecutivo, il moderato Gentioni, portatore di una visione saggia e oculata della vicenda, e l’interventista Pinotti, la quale già un anno fa ipotizzò l’invio di truppe italiane nella babele di una Nazione senza stato né legge?

Si può gestire con tanta faciloneria un intervento di questa portata, senza un adeguato dibattito parlamentare e senza averne valutato attentamente le possibili conseguenze?

Si può pensare di andare alla ventura, poi di smentire se stessi, poi di tornare su posizioni belliciste, salvo attestarsi alla fine sul “chissà se va”, consultando compulsivamente i sondaggi per cercare di non scontentare troppo l’opinione pubblica in vista delle Amministrative di giugno? Per non parlare poi della linea ondivaga del prode Hollande e del suo primo ministro Valls, i quali da mesi esibiscono muscoli che non hanno nel tentativo di farsi vedere risoluti agli occhi del popolo francese, senza rendersi conto che stanno scadendo nel ridicolo e rafforzando, involontariamente, Marine Le Pen.

Il risultato di questa politica strategicamente sbagliata ed eticamente discutibile, con tanto di sgombero forzato della cosiddetta “giungla di Calais” e stato d’urgenza permanente misto a proposte aberranti come la perdita della nazionalità francese per i soggetti con doppio passaporto condannati in via definitiva per atti di terrorismo, l’esito di queste scelte è stato, ovviamente, il rafforzamento del Front National e l’ulteriore sfaldamento di una sinistra che già versava in pessime condizioni. A conferma di ciò sono giunte, all’inizio di quest’anno, le dimissioni di Christiane Taubira, ex ministro della Giustizia ed esponente di spicco di una sinistra sempre più in sofferenza nel dover sostenere un governo liberista in ambito economico, guerrafondaio in politica estera, privo di una strategia chiara e comprensibile su ogni questione e prigioniero della sua stessa arroganza. E Cameron? Ha senso prostrarsi al cospetto di un signore che, di fatto, ha ricattato l’Unione Europea, strappando un accordo pericolosissimo e destinato a fare scuola in senso negativo? Cameron era all’ultimo stadio della disperazione, con un governo spaccato a metà e tutta la City contraria, per ovvi motivi d’interesse, all’uscita del Regno Unito dal contesto europeo, ben sapendo che ciò significherebbe la perdita di potere, ricchezza e prestigio per l’intero paese. L’Europa avrebbe potuto mostrarsi ferma e determinata nel difendere i princìpi e i valori di solidarietà e accoglienza e, invece, ha concesso al premier inglese dei privilegi ingiustificati che a breve rivendicheranno anche le mezze dittature dell’Est e, forse, persino l’Austria, ex faro di civiltà, oggi in preda a un razzismo di ritorno ancora più inquietante dell’originale.

Allo stesso modo, reputo ai limiti dell’assurdo l’atteggiamento del Vecchio Continente nei confronti di una tirannia di fatto come la Turchia di Erdogan: un paese illiberale, governato da un soggetto che strizza l’occhio all’ISIS, viola sistematicamente tutti i capisaldi sui quali si fonda l’Unione Europea e che ora ha accettato di accogliere una percentuale minima di profughi in cambio di concessioni esorbitanti, sia in termini economici sia in termini politici sia sul piano della nostra stessa dignità e credibilità, in quanto pur di non perdere qualche città o regione i nostri governanti dovranno accettare la violazione sistematica della libertà d’espressione e il massacro delle minoranze e degli oppositori. Non solo, in caso di accordo con il sultano di Ankara, saremo anche soggetti al suo costante ricatto di aprire le frontiere e farci invadere nel caso in cui dovessimo azzardarci a non obbedire pedissequamente ai suoi ordini e alle sue pretese sempre più insostenibili.  Il tutto per scongiurare l’avanzata di forze politiche che, prima di questo impazzimento generale, o non esistevano proprio o erano confinate in percentuali irrilevanti. In pratica, oltre ad affamarci, ad impoverirci, ad abbrutirci e a rendere le nostre società sempre più feroci e invivibili, il populismo selvaggio di questa classe dirigente è riuscito nell’impresa di far crescere fino a soglie preoccupanti le stesse compagini che avrebbe voluto arginare scimmiottandone i toni e le proposte programmatiche. A dimostrazione che fra l’originale e la copia il popolo sceglie sempre l’originale ma, soprattutto, che andando avanti di questo passo, rischia di diventare realtà l’amara definizione che un austriaco di due secoli fa riservò al nostro Paese. “La parola Italia – disse Metternich – è un’espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”. Chissà come reagirebbe se qualcuno lo riportasse in vita e gli spiegasse che l’intera Europa, a cominciare dalla sua Austria, andando avanti questo passo, rischia oggi di cadere sotto il dominio turco o, peggio ancora, di diventare un ricettacolo di odi e rancori sotto l’egida del lepenismo e dei potentati finanziari mondiali.


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