Il primo a dare la notizia della liberazione di Gino Policardo e Filippo Calcagno, poco dopo le 9,30, è stato Domenico Quirico, il collega de “La Stampa” che ha sperimentato sulla propria pelle cosa significa passare mesi di prigionia nelle mani di estremisti islamici. Ma la notizia non è stata confermata fino a quando la Farnesina non ha ultimato le verifiche di rito.
L’ufficialità, anche se nel frattempo si sono alternate dichiarazioni di familiari e di fonti delle autorità libiche sull’esito positivo della vicenda, è arrivata solo a mezzogiorno con la nota del ministero degli Esteri con l’annuncio che i due italiani rapiti in Libia a luglio non erano più nelle mani dei loro rapitori e si trovavano sotto la tutela del Consiglio militare di Sabrata in buone condizioni di salute.
I primi dettagli sulla liberazione dei due tecnici della ditta Bonatti sono stati diffusi dalla cabina di regia delle operazioni congiunte delle milizie di Sabrata attraverso Il profilo Facebook del Centro di informazione che ha pubblicato le loro foto dei due italiani liberati e di un biglietto scritto a mano sul quale si leggeva: “Io sono Gino Pollicardo e con il mio collega Filippo Calcagno oggi 5 marzo 2016 siamo liberi stiamo discretamente fisicamente, ma psicologicamente devastati. Abbiamo bisogno di tornare urgentemente in Italia”.
L’intelligence italiana, già mobilitata da giorni sulla vicenda, sta cercando di organizzare il rientro dei nostri connazionali. Sulle circostanze del rapimento, compresa l’uccisione di Fausto Piano e Salvatore Failla, restano però molte lacune. Il legale della famiglia Failla parla di misteri, contraddizioni e segreti che vanno chiariti e chiede come sia possibile che 24 ore dopo la morte di due dei sequestrati altri due siano stati ritrovati illesi.
Secondo il Media center di Sabrata, al momento della loro liberazione da parte delle milizie locali Calcago e Policardo erano nelle mani dei miliziani dello Stato islamico e tenuti rinchiusi in un appartamento nella cittadina libica.
Anche la pagina Facebook del gruppo libico “Febbraio al Ajilat-2”, la stessa che aveva pubblicato le fotografie dei corpi di Fausto Piano e Salvatore Failla, ha confermato che i due operai sono stati liberati a seguito di un “efferato blitz in un covo di Daesh”.
Ma nelle ultime ore una nuova ipotesi si è profilata attraverso fonti di intelligence. Pollicardo e Calcagno si sarebbero liberati da soli.
I due tecnici, lasciati senza controllori nella casa dove erano tenuti prigionieri, sarebbero riusciti a sfondare la porta principale liberandosi così dalla prigionia di un gruppo affiliato all’Is.
Insomma, al momento non esiste una ricostruzione attendibile che possa con certezza dirci cosa davvero sia avvenuto nelle ultime 24 ore in Libia.
Come ancora non vi è alcuna certezza sull’invio o meno di una missione, a guida italiana, nel Paese.
Anche se da più voci, dall’ambasciatore Usa in Italia ad esponenti autorevoli della politica nostrana, un’azione militare sembra ormai inevitabile.
Sono varie le ipotesi operative su un possibile intervento antiterrorismo in Libia. Oggi il rappresentante diplomatico a Roma, John R. Phillips, spiega attraverso un’intervista al Corriere della Sera che la Casa Bianca sta lavorando ‘accuratamente’ con l’Italia alla missione da dispiegare entro breve tempo in accordo con i libici. E’ solo la mancanza di un governo stabile a frenare l’azione. Ma, ha insistito l’ambasciatore, anche se non è possibile forzare in tal senso appena si profilerà un accordo di unità nazionale e, sulla base della risoluzione dell’Onu, arriverà al nostro Paese e ad altri la richiesta di andare a Tripoli per creare isole di stabilità, non si potrà rinviare un giorno di più l’intervento. Secondo Philips l’Italia dovrebbe fornire fino a circa cinquemila militari.
Il governo italiano continua a manifestare cautela sull’ipotesi intervento, ma intanto si è già animato il dibattito sull’opportunità di inviare o meno truppe in Libia.
Alle forzature e alla retorica che sta accompagnando la cronaca della nostra partecipazione alla guerra al Califfato, senza contare le strumentalizzazioni sulla morte dei due operai italiani ad opera dei miliziani Isis, Renzi, secondo fonti governative, resta fermo sull’impossibilità di intervenire per ‘mancanza di condizioni’. Per ora.
Eppure, nonostante le rassicurazioni fatte filtrare dal presidente del Consiglio, sono in molti a manifestare il timore che si possa esautorare il Parlamento dalla scelta di una partecipazione o meno dell’Italia al conflitto.
C’è da attendersi, se si manifestasse questo orientamento, una battaglia politica e civile che, come avvenuto già in passato, ci vedrà schierati sulle ragioni di chi ritieni gli interventi armati inutili e dannosi.
La guerra, come ha ricordato oggi Romano Prodi, è l’ultima cosa da fare; o c’è un vero governo che ti chiama, e allora puoi andare a costruire lo Stato e favorire la pace, oppure chiunque vada sarà considerato un ‘nemico’ del popolo.