Il passaggio da “certa stampa prostituta” a “giornalisti infami” è ovvio e diretto, quando si preme l’acceleratore in direzione del giornalista da demonizzare in quanto tale. E non importa se questo giornalista sia uomo o donna, sia precario o assunto, sia giornalista o meno. Importa solo “sparare nel mucchio”, fomentando facinorosi che di “pace e legalità” non hanno un bel nulla.
Siamo a Messina, porta della Sicilia. Da mesi oramai in città si sta svolgendo una pericolosissima campagna denigratoria nei confronti di chi scrive, di chi cerca (bene o male, sarà la storia a dirlo!) di esercitare il proprio diritto-dovere di informare.
Tutto ebbe inizio tempo fa con le ingiustificabili parole del “Sindaco della Pace” . Si badi bene, ho sempre avuto grande rispetto ed una profonda ammirazione verso il Sindaco di Messina, Renato Accorinti, per la sua storia e (non meno importante) per i suoi (poco) illustri predecessori dai quali ha raccolto un testimone scomodo. Le cronache di queste settimane, però, ci raccontano una realtà profondamente (e pericolosamente) dilaniata che vede, nella caccia al giornalista, un pericoloso sport.
I manifesti di insulti e minacce trovati da due operatori (Alessandro Silipigni e Giuseppe Bevilacqua, già vittime negli scorsi giorni di atti intimidatori), le scritte sotto casa, le autovetture danneggiate, insieme a quel drammatico “venticello dell’infamia” che si respira in città, devono farci drizzare le orecchie. Prima che sia troppo tardi.
I ripetuti ed accorati appelli del Prefetto di Messina al Sindaco, insieme alla mancanza di solidarietà pubblica (e privata) da parte del Primo cittadino nei confronti dei colleghi minacciati e offesi, contribuiscono ad accrescere quello che già è un silenzio assordante.
Chi, come me, crede nella simbologia che in Sicilia può costare la vita a diverse persone, non può che notare a maggior ragione questo silenzio. Questa mancanza di solidarietà.
Ci apprestiamo a celebrare, proprio a Messina, la giornata del 21 marzo organizzata da Libera. Ritengo che, proprio in questi giorni, dovremmo stringerci tutti attorno ai colleghi messinesi perché piangere dopo, qualsiasi cosa possa accadere per questa escalation di violenza, sarebbe inaccettabile. E bene ha fatto l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia a sottolineare come nessuna differenza ci sia per quei colleghi minacciati, anche se ancora non fanno parte formalmente dell’Ordine. Così come bene ha fatto l’Ordine a far sentire forte la propria voce nei confronti del Sindaco della città dello Stretto.
L’insofferenza del mondo politico nei confronti dei giornalisti che non si “inchinano” non è certamente una novità e le accuse generalizzate, le minacce, le offese sono il sintomo sempre più evidente e, purtroppo, sempre più frequente, dell’incapacità di accettare quella libertà di stampa che la nostra Costituzione pone a fondamento della democrazia. E ricordiamoci che un giornalista deve essere un “cane da guardia” della verità. D’altronde un giornalista che non scrive la verità, che non si guarda intorno, che non ha il coraggio di denunciare, non è solo una persona che semplicemente non sta facendo il proprio dovere nei confronti dell’opinione pubblica, ma avrà anche la responsabilità di portarsi sulla coscienza i dolori, le sopraffazioni e le ingiustizie subite dalle migliaia di cittadine vittime delle mafie, del malaffare, della corruzione.
Ma la politica e le istituzioni di Messina abbiano uno scatto d’orgoglio e prendano posizione con la stessa violenza verbale con la quale attaccarono “certa stampa”, altrimenti la firma sotto a queste intimidazioni, a queste offese, a queste minacce, non sarà anonima ma sarà la loro.