Dal lavoro all’accesso ai servizi sanitari, dall’apprendimento della lingua alla vulnerabilità: ogni piccolo passo nel paese d’accoglienza risulta più complicato. Lo rivela uno studio del parlamento europeo in vista della Giornata internazionale
BRUXELLES – Dopo un viaggio devastante, in cui rischiano la vita e sono spesso soggette a violenze, sfruttamento e abusi sessuali, anche quando riescono ad ottenere la protezione internazionale, per le donne rifugiate le cose sono tutt’altro che semplici. Se per ogni migrante integrarsi con successo nel paese d’accoglienza è un risultato per nulla scontato, per le donne, le sfide sono doppie. Ad evidenziarlo è uno studio del Parlamento europeo che, in vista della giornata internazionale della donna, ha analizzato gli ostacoli sul cammino dell’integrazione da una prospettiva di genere. Risultato: ogni piccolo passo nel paese d’accoglienza, per le donne può risultare più complicato.
La ricerca di un alloggio, ad esempio. Per le rifugiate che non siano giunte nel paese d’accoglienza insieme ai propri mariti, trovare una sistemazione stabile e adeguata è molto più complicato, sottolinea lo studio. Per questo, le donne rifugiate single rimangono più frequentemente in alloggi di emergenza per lunghi periodi rispetto agli uomini, che hanno un accesso più facile, tra le altre cose, al mercato del lavoro. Spesso donne e ragazze rifugiate sono costrette ad accettare sistemazioni inadatte e sovraffollate, dove mancano anche i servizi basilari, e sono esposte al rischio di sfruttamento sessuale da parte del proprietario o di altri soggetti.
Un grosso ostacolo all’integrazione delle donne rifugiate è poi costituito dalla difficoltà di ricevere un adeguato insegnamento della lingua del nuovo paese. Sapere parlare significa potere interagire con il contesto circostante e potersi emancipare dalla famiglia, comprendendo i propri diritti anche senza la mediazione di un uomo. Eppure diversi studi mostrano che i corsi di lingua nei paesi d’accoglienza sono più difficilmente accessibili per le donne rifugiate rispetto agli uomini. Il motivo è spesso la difficoltà per le donne di integrare lo studio con i doveri familiari, soprattutto la cura dei figli che continua ad essere percepita come un compito esclusivamente femminile. Difficilmente le donne rifugiate, specialmente quelle senza un impiego, riescono ad accedere a servizi di nursery per i figli e dunque difficilmente hanno la possibilità di partecipare ad attività di formazione. Ma senza una conoscenza base della lingua del posto è molto difficile anche accedere al mercato del lavoro. Un circolo vizioso che non si è ancora riusciti a spezzare.
L’occupazione è appunto un altro tasto dolente. Per le donne rifugiate, spiega lo studio del Parlamento europeo, si evidenzia un gap professionale e socio-economico enorme tra la condizione pre e post fuga dal paese di origine. Nello stato ospitante, le donne trovano soprattutto impieghi nel campo dei servizi domestici (assistenza a bambini e anziani o pulizia della casa). Nella maggior parte dei casi si tratta di lavori part-time e sottopagati, molto al di sotto delle loro qualifiche e competenze, che difficilmente vengono riconosciute. Questa “segregazione” sul mercato del lavoro sembra interessare le donne molto più degli uomini, che riescono ad avare accesso a una gamma di opportunità più ampia. Ad accrescere le difficoltà anche la sfera familiare: in alcune culture alle donne non è consentito lavorare, soprattutto se i mariti non hanno un’occupazione, e occorre sempre conciliare l’eventuale impiego con la cura dei figli.
Sistemazioni precarie, difficoltà linguistiche, ostacoli nella ricerca di un impiego. Tutti questi fattori, avverte lo studio, rendono le donne rifugiate più esposte al rischio di cadere vittime di sfruttamento sessuale o traffico di esseri umani. Ma esistono anche pericoli di violenza domestica perché i mariti rifugiati, frustrati dalle difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro o ai processi decisionali nel paese ospitante, potrebbero essere spinti a tentare di affermare la propria autorità nella sfera domestica con comportamenti violenti nei confronti delle mogli. Ciò nonostante i servizi per contrastare le violenze di genere nei paesi che accolgono i migranti rimangono limitati e, anche dove esistono, raramente le donne ne sono a conoscenza.
L’accesso ai servizi sanitari, non solo in questo settore, è un altro degli aspetti che per le donne rimane complicato. Spesso le condizioni delle donne migranti sono critiche a causa della malnutrizione, dei traumi psicologici e delle violenze fisiche affrontante durante il viaggio. Per non parlare delle mutilazioni genitali femminili, che riguardano una percentuale considerevole delle rifugiate in arrivo. Eppure l’accesso alle cure nel paese di accoglienza non è scontato. Rimangono infatti problemi di comunicazione, difficoltà linguistiche e anche barriere culturali.
Fino a questo momento, le politiche per l’integrazione dei rifugiati nei paesi ospitanti sono state per la grande maggioranza neutre rispetto al genere, non considerando le diverse sfide che uomini e donne si trovano ad affrontare. Ma un approccio di questo tipo è destinato a fallire visto che il genere costituisce una delle principali dimensioni delle discriminazioni e delle violenze che le donne rifugiate devono affrontare ogni giorno, avverte lo studio del Parlamento europeo. Per questo, conclude, le istituzioni Ue dovrebbero continuare ad accrescere la consapevolezza sul tema e tentare di favorire lo scambio di pratiche virtuose per l’integrazione delle donne rifugiate. (Letizia Pascale)