80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Diario da Lesbo e delle nostre prime 24 ore nell’isola

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Sveglia alle 7 e partenza verso i magazzini. Incontriamo la Grecia, l’Irlanda, La Spagna, la Repubblica Ceca, gli Stati Uniti negli sguardi dei volontari che ci corrono incontro felici di poter contare anche sul nostro impegno. Tanta la voglia di aiutare in quelle montagne di indumenti che aspettano di essere di nuovo utili perché a Lesbo è ciò che avviene. Un vecchio calzino riprende vita in un piccolo siriano. Una sciarpa colorata si trasforma in uno Hijab e la maglietta del Manchester la divisa di un giovane afgano.

Lavoriamo per ore insieme e per capirci non serve conoscere l’inglese perché le affinità prendono il sopravvento ed i nostri sguardi si incrociano attraversando quegli spazi immaginando un’altra Europa. Accatastiamo, dividiamo e cataloghiamo. Soddisfatti lasciamo i magazzini consapevoli di aver dato il massimo; a conferma di ciò il sorprendente e piacevole episodio di due simpatiche volontarie spagnole che giunte in fretta e furia cercano abiti per una neonata arrivata con il papà al campo di Pikpa (uno dei centri per rifugiati gestito da volontari indipendenti) senza la mamma bloccata in Turchia. Ci diamo appuntamento per la mattina successiva perché nel pomeriggio l’emergenza si sposta al porto.

Arriviamo alle 17 e nel momento stesso in cui iniziamo ad aiutare e ci guardiamo intorno ci rendiamo subito conto che decine di volontari non sono sufficienti a risolvere il dramma di una guerra. Bambini ancora a piedi nudi, donne senza cappotti, giovani ragazze che si avvicinano timide alla ricerca di un supporto per la propria igiene intima. La vita racchiusa in qualche busta ed un piccolo zaino. Non ridono, non hanno voglia di scherzare ma ringraziano perché ogni piccolo gesto ai loro occhi è un dono inestimabile. I bambini, invece, nonostante tutto, corrono, ridono, mangiano dolciumi e indossano un sorriso.

Ore 20 la partenza per Atene. Un’altra tappa verso la serenità. L’Europa di Tsipras non è poi così diversa dalle frontiere chiuse che obbligano migranti e profughi ad attendere. Costretta ad accogliere a causa del suo splendido mare che non accetta cancelli, sceglie la linea dell’assenza istituzionale e della presenza di esercito e forze di polizia che vivono con fastidio i volontari che battono le strade dell’isola.

E’ buio, si torna a casa e la sveglia è pronta per le 5. Inizia il nostro nuovo giorno in spiaggia aspettando gli sbarchi. E intanto l’Europa offre miliardi di euro per non vederne più.


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