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Choucha, al confine con la Libia il campo degli uomini fantasma

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Di Eileen Quinn

Mentre l’ISIS fa il suo ingresso in Tunisia dalla Libia, un gruppo di migranti resta sospeso al confine in un campo profughi ormai abbandonato dalle Organizzazioni umanitarie.

Appena una settimana fa, almeno 45 persone sono rimaste uccise in seguito a scontri tra esercito tunisino e militanti dell’ISIS. Il conflitto a fuoco è avvenuto nella città tunisina di Ben Gardane, ultimo centro abitato prima del confine con la Libia e per questo spesso denominato “il cancello”.

Secondo le forze dell’ordine tunisine, diversi gruppi jihadisti nel corso dell’ultimo anno sono entrati nel Paese dalla Libia, contribuendo fortemente alla disseminazione di ideologie estremiste. Per prevenire l’ingresso di ulteriori cellule terroristiche, e limitare la comunicazione diretta tra militanti, il governo tunisino è impegnato nella costruzione di un muro lungo il confine con la Libia, ormai da diversi mesi ormai.

Il muro non ha tuttavia bloccato lo scambio di cellule terroristiche tra i due Paesi, né il contrabbando di beni o di persone, secondo quanto riportato da Habib Essid, primo ministro tunisino, in seguito agli attacchi di lunedì.

Quello che i media non hanno portato alla luce di questi ultimi scontri è che, tra il confine libico e la città di Ben Gardane, una cinquantina di immigrati provenienti da vari Paesi africani vive sospesa all’interno di un campo profughi ormai abbandonato dalle organizzazioni umanitarie.

Si tratta del campo una volta conosciuto come Choucha, originariamente installato e gestito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) per far fronte ai numerosi ingressi di persone in fuga dal conflitto in Libia nel 2011.

Siamo terrorizzati. Si sentono i colpi di arma da fuoco dei militari e degli altri come se fossero qui, dentro il campo. Siamo terrorizzati” dice Margai Hawkins, immigrato liberiano arrivato al campo nel 2011, anche lui in fuga dalla guerra in Libia.

Tutti gli immigrati rimasti a Choucha oggi si trovavano in Libia prima di scappare in Tunisia sei anni fa. Erano lì perché, come milioni di altri, speravano di raggiungere l’Europa attraverso il sistema di contrabbando via mare.

Quando sono arrivato a Tripoli mi è bastato chiedere in giro per avere il contatto dei contrabbandieri libici. I contrabbandieri mi hanno detto che il viaggio sarebbe costato 1.200 dinari [circa 1.300 euro NdR] e quindi ho iniziato a raccogliere i soldi per partire. Ma quando la guerra è cominciata, ho avuto troppa paura e allora sono venuto qui” racconta Usman Bangura, portavoce dei ragazzi di Choucha, partito dal Sierra Leone sette anni fa.

Usman mi spiega che fino al 2012 il campo ospitava circa 11.000 immigrati provenienti da diversi Paesi, e che l’ACNUR insieme ad altre organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere (MSF) forniva tutti gli aiuti necessari, dalle tende al cibo, l’acqua e le cure mediche. Soprattutto, però, le organizzazioni avevano facilitato i processi di formalizzazione di status di rifugiato politico, permettendo a molti di loro di godere della protezione internazionale e del sostentamento di base necessario per ricostruirsi una vita in Tunisia.

Ci avevano detto che l’ACNUR avrebbe chiuso il campo nel 2013, ma in realtà sono andati via tutti già verso la fine del 2012, lasciandoci senza acqua o elettricità. Avevano detto che sarebbero andati via se e quando tutti noi avessimo trovato una soluzione, invece ci hanno abbandonato lasciandoci in un vero e proprio limbo” denuncia Bangura.

Nonostante la vicinanza con la Libia e l’elevato tasso di immigrazione dall’inizio della Primavera Araba, la Tunisia non ha mai implementato formalmente una legge migratoria, questo ha fatto sì che l’immigrazione sia quasi totalmente gestita dalle organizzazioni internazionali umanitarie, come ACNUR, MSF e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), il cui operato non viene sottoposto a nessuna forma di monitoraggio.

La decisione relativa al rilascio di status di rifugiato politico spetta sostanzialmente all’ACNUR. Sia che arrivino via terra o via mare, gli immigrati clandestini sono prima accolti dallo staff volontario della Mezzaluna Rossa Tunisina (MRT) per poi essere interrogati dall’ACNUR. Chi non viene reputato come avente diritto alla protezione internazionale non riceve un decreto di respingimento come in Europa, ma è lasciato privo di qualunque sostegno in un Paese che finge di non vedere” sostiene Mouhamed Trabilisi, operatore volontario della MRT a Zarzis, cittadina a circa 60 km da Ben Gardane.

Mentre camminiamo dentro il campo, Bangura mi racconta di come abbiano provato a contattare lo staff dell’ACNUR e membri del Governo almeno tre volte nel corso del 2015, per chiedere loro aiuto. Tuttavia nessuno li ha ancora ricevuti.

A chi altro, se non all’ACNUR e al Governo, dovremmo rivolgerci per uscire dalla fame e dalla povertà in cui siamo piombati dopo che ci hanno abbandonato?” dice Kadiril Salifu, immigrato ghanese.

Quando hanno sparato e ucciso tutte quelle persone nessuno è venuto qui al campo a chiederci se eravamo feriti o se avevamo bisogno di aiuto. Non esistiamo, siamo come fantasmi. Già alcuni di noi sono scappati, ma dove possiamo andare? Non vogliamo ritornare in Libia ed essere contrabbandanti in Europa, ma è come se tutti qui non aspettassero altro, vederci tornare in Libia” dice Margai Hawkins a quattro giorni dagli scontri durante un’intervista telefonica.

Usman e gli altri ragazzi sono come sospesi in un’area del Paese che, a causa della vicinanza con la Libia, è al confine non solo in senso geografico. Il rischio di restare vittime di scontri armati come quello del 7 marzo scorso è altissimo sia perché il campo è forse il primo “centro abitato” all’ingresso dalla Libia, sia perché questi immigrati non godono di protezione in caso di attacchi terroristici.

Invece restano nell’ombra, ignorati da chi come ACNUR, MSF o OIM ha promesso di aiutarli, da un Governo che si ostina a non affrontare una crisi migratoria che è ormai una realtà anche in Tunisia, e purtroppo anche dai media.

Da vociglobali


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