Braccianti africani in case in affitto: ecco l’alternativa ai ghetti

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Dal 2010, anno della rivolta a Rosarno, un progetto di mediazione della Caritas ha convinto gli abitanti di Drosi piccolo paese della piana di Gioia Tauro ad affittare case ai migranti per superare accampamenti e baracche. I volontari: “Quello che serve è impegno e fiducia”

 

ROMA – La prima stanza funge da garage e spogliatoio. Contro una parete sono appoggiate le mountain bike sgangherate che servono per andare al lavoro. Contro l’altra, in fila, gli stivali di gomma verdi e marroni, sporchi del fango degli aranceti. Poi c’è un piccolo spazio con due letti e una tv, prima di entrare nel cucinotto comune: un tavolino, qualche mobile dispensa, fornelli e scaffali ingombri di pentole. Da lì si accede a un’altra stanza da letto, al bagno e poi al cortile. Siamo al piano terra di un caseggiato a pochi passi dalla chiesa di Drosi, frazione di Rizziconi in provincia di Reggio Calabria. Masimbo, un ex bracciante burkinabé che in italiano si fa chiamare Massimo, vive qui con altri quattro giovani africani che, come lui, pagano un affitto di 50 euro al mese, incluse spese.

“Prima lavoravo nelle campagne come bracciante, a raccogliere arance e mandarini. Ora lavoro a Palmi, nella raccolta differenziata dei rifiuti, in regola” racconta Masimbo con il viso che si illumina di orgoglio nel pronunciare le due parole: “in regola”. Masimbo è uno dei 150 africani che oggi vivono in case in affitto a Drosi, frazione di 800 abitanti del comune di Rizziconi, provincia di Reggio Calabria, piana di Gioia Tauro. Rosarno, la tendopoli di San Ferdinando e la fabbrica occupata che insieme ospitano, in pessime condizioni igieniche, oltre mille braccianti durante la stagione della raccolta degli agrumi, distano da qui circa una decina di chilometri. E basta allontanarsi pochi minuti con l’automobile, tra gli aranceti, per trovare altri insediamenti di braccianti, precari e abusivi, in casolari abbandonati.

“Qui ogni famiglia ha i suoi emigranti, chi è andato in Germania, chi anche in Australia, senza più tornare a casa. È per questo che hanno capito il nostro progetto, anche se a farlo funzionare, naturalmente, c’è voluto del tempo e tantissimo impegno”. A parlare è Francesco Ventrice, per tutti Ciccio, una delle colonne della Caritas di Drosi. È stato lui, insieme ad altri volontari, a proporre ai compaesani di sistemare i braccianti nelle case in affitto. L’idea era nata proprio nel gennaio 2010, nei giorni concitati che seguirono la rivolta degli africani e le successive violenze e rappresaglie. Mentre le forze dell’ordine cominciano a organizzare i pullman per trasferire centinaia di immigrati tra Bari e Crotone, e molti altri lasciano la piana di Gioia Tauro in treno, diretti a nord, a Drosi si decide di puntare sull’accoglienza.

“Io era dal 2003 che lavoravo con gli africani, andavo in tutti i loro accampamenti per aiutarli, portare vestiti, ascoltare i loro bisogni”, racconta Ventrice. Gli africani si fidano di lui. I compaesani, pure. Ed è grazie alla fiducia e alla mediazione dei volontari della Caritas che i primi proprietari di case si convincono a mettere i propri spazi in affitto, a un prezzo concordato e abbordabile, ai giovani africani che, dato il clima di violenza, hanno paura a dormire in baracche e casolari isolati e stanno meditando di andarsene anche dai dintorni di Drosi.

E dalle prime 4 case, messe a disposizione in fretta e furia in quei giorni per accogliere i primi 10-15 ragazzi si è passati, nei mesi e negli anni, alle 19 attuali. “In ognuna delle case che sono affittate tramite la Caritas stanno cinque, sei, sette ragazzi. Il lavoro è stagionale, quindi non tutti restano tutto l’anno. Ma in ogni caso, a prescindere da quanti occupano l’appartamento, il pagamento è di 50 euro al mese”. Fondamentale, per far funzionare il sistema, è il costante e impegnativo lavoro di mediazione svolto dai volontari: “Poiché le spese sono incluse, spesso ci è capitato di dover spiegare che le luci e gli scaldini elettrici non si possono lasciare sempre accesi”, racconta Ciccio, “ma in molti casi le persone progressivamente si sono rese autonome, e oggi ci sono diversi ragazzi che abitano in case che hanno affittato da soli. Tanti si sono fatti conoscere in paese, e non serve più che siamo noi a fare da tramite”. Alle parole di Francesco Ventrice fanno eco quelle di Masimbo: “All’inizio, quando noi passavamo per le strade, la gente chiudeva in fretta le finestre. Ora, invece, questo non c’è più”. (Giulia Bondi)

Da redattoresociale


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