Cosa manca nella copertura mediatica dell’immigrazione? I migranti…
Di Roy Greenslade, The Guardian, 2 febbraio 2016
(traduzione Associazione Carta di Roma)
L’immigrazione, una delle questioni più controverse in Gran Bretagna negli ultimi anni, ha dominato le discussioni relative alla rinegoziazione dei rapporti con l’Unione europea condotta da David Cameron.
Cameron ha intenzione di portare avanti un’offensiva diplomatica per assicurarsi l’accordo con i paesi dell’Europa dell’est in favore del suo piano di ridurre i pagamenti di benefici ai migranti. Questa iniziativa è il risultato di una promessa fatta durante la campagna elettorale del 2015, nella quale il dibattito sull’immigrazione ha rappresentato un tema chiave. Quest’ultimo, ovviamente, è stato riportato sulla stampa nazionale nei mesi che hanno preceduto le elezioni. Ma in che modo i giornali hanno trattato l’immigrazione? Come hanno ritratto i migranti?
Uno studio diffuso oggi osserva come le voci e le esperienze dei migranti sono state inquadrate durante la corsa alle elezioni dell’anno scorso e rileva come esse abbiano gettato ancora più luce su un soggetto di interesse pubblico costante.
Come implica il suo titolo, “Victims and Villains”* (il termine “villain in inglese indica il personaggio cattivo di una storia, ndr), rinforza la precedente ricerca sul modo in cui migranti e rifugiati sono rappresentati nelle pagine dei giornali nazionali. Gli autori sono turbati dai ritratti delle vittime, tanto quanto lo sono da quelli degli antagonisti.
Hanno anche provato che le voci dei migranti avevano maggiori probabilità di essere incluse nelle storie che tendevano a essere più positive ed empatiche nei loro confronti. La maggior parte di essere presentavano il migrante come vittima bisognosa di comprensione e supporto.
Al contrario le stesse voci avevano minori probabilità di essere presenti in storie negative su immigrazione e migranti.
Gli autori sostengono che presentare i migranti come vittime fosse doppiamente problematico: oltre a non riflettere la varietà di esperienze da loro vissute, la vittimizzazione tendeva a rinforzare lo stereotipo secondo cui “non sono utili nel lungo periodo”.
Il rapporto è stato condotto sulla base di 648 storie sull’immigrazione pubblicate sia sui tabloid che sui normali giornali***, di interviste con i rappresentanti di organizzazioni che lavorano coi migranti a Glasgow, Birmingham e Londra e di colloqui con 60 migranti.
Tra le maggiori rilevazioni vi è il fatto che il 46% degli articoli inquadrasse l’immigrazione come una minaccia e i migranti come effettivi o potenziali antagonisti. Un ulteriore 38% degli articoli era radicato nel frame della vittimizzazione. Solo il 10% degli articoli ritraeva l’immigrazione e i migranti come un beneficio, principalmente per l’economia.
Si legge nel rapporto: «L’assenza delle voci di migranti come fonte, nei media, può privare il pubblico di una comprensione più complessa e variegata delle questioni relative all’immigrazione. Può inoltre avere conseguenze negative sull’integrazione, sul benessere e la sicurezza dei migranti e sul loro senso di appartenenza. Tutto ciò può indebolire il sentimento di appartenenza dei migranti alla società inglese, anche se hanno vissuto a lungo nel Regno Unito».
In media solo il 15% degli articoli conteneva la voce o il punto di vista dei migranti, nonostante la differenza da un giornale all’altro fosse notevole: circa il 27% degli articoli dell’Independent ricorrevano alla prospettiva offerta dai migranti, salendo al 33% nel caso del Daily Mirror. Al contrario il 97% degli articoli del Sun non offriva il punto di vista dei migranti.
Secondo il rapporto, sono le storie negative, di solito, a conficcarsi nella mente della gente più di quanto non facciano quelle positive; questo può avere un impatto negativo sul senso di appartenenza alla Gran Bretagna.
Accettando la possibilità che la vittimizzazione potesse essere vantaggiosa, in particolare nel corso di una campagna per mettere fine alla detenzione indefinita di migranti e richiedenti asilo, gli autori hanno rilevato che per loro potesse essere traumatico ricordare esperienze delicate. Affermano che già da altri è stata espressa «preoccupazione riguardo al fatto che dando voce ai migranti nella veste di vittime si conti troppo su reazioni emotive che non contribuiscono necessariamente alla formazione un dibattito pubblico e politico bilanciato e consapevole sull’immigrazione, né al processo di creazione di buone politiche».
Soprattutto, la concentrazione di voci migranti nel frame della vittimizzazione non riflette la varietà delle esperienze dei migranti che vivono nel Regno Unito.