Testata prestigiosa The Independent. Per chi ha memoria, al tempo delle due guerre del Golfo ha rappresentato una voce fondamentale per avere “notizie vere” e non embedded su quanto accadeva “sul terreno”, dove arrivavano le “bombe intelligenti”, in Iraq. Anche le tirature sono state importanti. Ha toccato, a fine anni 80, le 400mila copie, scendendo poi inesorabilmente fino alle 58mila segnalate dall’edizione inglese di Wikipedia.
The Independent su carta chiuderà il prossimo 26 marzo. Lo ha annunciato l’editore, il russo Eugeny Lebedev che ha scritto ai dipendenti. Ha parlato di un passaggio storico vantando i risultati raggiunti dalla testata in Internet e garantendo che nel settore dell’online verranno fatti investimenti importanti. Si è poi detto dispiaciuto di non poter assicurare tutti i posti di lavoro. C’è di mezzo la cessione di un ramo d’azienda e una ristrutturazione tutta da definire che al momento è proprio difficile da prefigurare.
Per chi volesse approfondire comunque la fonte migliore è il sito di un formidabile concorrente dell’Independent, il Guardian che sta coprendo in modo impeccabile la notizia ( http://www.theguardian.com/media/theindependent ) a riprova del fatto che, digitale o meno, il giornalismo britannico mantiene uno stile e un respiro completamente diversi da quelli alimentati dai tanti “retroscenisti” di casa nostra.
In chiave italiana però quali considerazioni possiamo fare?
Sicuramente trarre conclusioni affrettate sarebbe ridicolo oltre che sbagliato. Intanto le testate britanniche hanno una chance che le nostre si sognano. Competono, in virtù della lingua, sul mercato globale del Web. Per loro l’uscita dalla dimensione nazionale è già un dato di fatto. Anche il Guardian ha da tempo molti più lettori\navigatori negli Stati Uniti che non in patria. Insomma chi si esprime in inglese, mantenendo standard di qualità elevati e disponendo di un brand riconosciuto, si fa leggere ovunque. Se qualcuno dei nostri “cartacei” farà nel prossimo futuro questo salto non potrà invece certo contare su nuovi click in India, Sudafrica, Nuova Zelanda. Pure i britannici peraltro non hanno risolto il problema della redditività del traffico online. E questa è questione assai spinosa per chi gestisce qualsivoglia attività editoriale oggi sul pianeta. Certo ci sono gli articoli a pagamento ( non mancano esperienze e tentativi anche in Italia) ma il successo finora è stato legato a informazioni di settore o appunto a testate globali in grado di avere un mercato amplissimo. Altra cosa ancora sono le testate nate sul Web come la francese Mediapart che basa il proprio business sugli abbonamenti di chi cerca informazioni di qualità e giornalismo investigativo.
Resta il fatto che le riconversioni sono dolorose e che molti utenti del Web sono abituati a vivere la Rete come un luogo di libera circolazione delle informazioni, anche se non “certificata” da una testata.
Da noi come siamo messi allora? Se sono premature le conclusioni, resta evidente il problema. Al di là di tutte le possibile chiacchiere i dati di diffusione dei giornali di carta sono impietosi. Nelle edicole i due competitor principali ( forti pure sul Web) sono sulle 220mila copie (http://www.blitzquotidiano.it/media/vendite-giornali-novembre-2015-repubblica-e-corriere-quasi-2359681/) . Ma soprattutto c’è un dato che pesa in prospettiva: i giovani che leggono le news su carta sono sempre meno, tanto è vero che si moltiplicano le ipotesi di “alleanze produttive” con Facebook o Google.
Così se delle conclusioni affrettate sono arbitrarie diciamo che la vicenda Independent fa suonare, diciamo così, una campanella . I tempi del cambiamento sono veloci. Forse più veloci ancora di quanto li abbiamo stimati finora.