Con la votazione della legge sulle unioni civili finisce la storia de PD, che ha rinunciato progressivamente ai propri ideali, per concentrarsi sull’accentramento del potere nelle mani di una sola persona: Renzi. Certo, il partito non si scioglierà subito dopo che un inquisito di rito berlusconiano avrà salvato il governo, ma accelererà l’avanzato stato di trasformazione in atto fino al pieno snaturamento, che precede sempre la fine (vedi PSI di Craxi).
Che faranno Bersani, Cuperlo, Speranza e tutti quelli che hanno sempre detto o noi o Verdini?
Probabilmente niente, se non lanciare (forse) un altro penultimatum, per spostare la loro fatale decisione ad altri limiti invalicabili, ma semoventi. Chi veramente viene colpito in pieno da questo sfaldamento è l’elettorato ex-PD. Che s’era aggrappato a Barca, poi a Marino, sperando in Pisapia, mentre i giovani turchi si sono nel frattempo invecchiati e adeguati. Resiste solo Zingaretti, che fa bene il suo lavoro alla Regione Lazio, ma evita accuratamente ogni commento sul partito.
Insomma, quella che doveva essere l’unione tra Margherita e PDS si è rivelata un inglobamento vincente dei neo-democristiani a scapito dei post-comunisti. E ora Renzi ha fatto il suo definitivo outing conservatore accettando il sostegno decisivo di Verdini, a danno dei diritti dei gay, ristabilendo una piena sintonia con il family day. Ma alle elezioni comunali arriveranno notizie così brutte per il PD, che nulla sarà più come prima. Siamo solo all’inizio. Della fine.
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