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Ricordiamo Giulio e tutti i desaparecidos d’Egitto che non conosciamo

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Le torture subite da Giulio Regeni, la sua fine atroce, hanno segnato profondamente ognuno di noi. Siamo tutti fermi, ora, nel chiedere giustizia, chiarezza sulla sua morte e sul movente che l’ha determinata.  Fermi e uniti, come non mai. Ma per rispetto di Giulio, del suo impegno in Egitto, la sua azione di denuncia delle violazioni continue nei confronti della popolazione egiziana è giusto ricordare tutti gli altri ‘Giulio’ che non conosciamo e di cui non sapremo mai nulla.
Come Ayman Ismail.
Ayman aveva da poco compiuto 21 anni, era uno studente del College of Dentistry. E’ scomparso dopo essere stato arrestato e portato in un centro di detenzione della polizia al Cairo. EraEra alla guida della sua auto è stava rientrando verso casa dopo la preghiera del venerdì, il 13 novembre, quando fu coinvolto in un incidente stradale. Aveva tamponato il veicolo che lo precedeva. Né lui né il conducente dell’altra auto avevano riportato ferite e stavano discutendo per accordarsi su quanto Ayman dovesse pagare per il danno causato.   The two drivers were detained and transferred to al-Ajoza police center.
Gli agenti arrivati sul posto, dopo aver controllato la sua vettura, da cui hanno preso del materiale divulgativo sulle torture subite dai Fratelli musulmani arrestati dopo la caduta di Mohamed Morsi, lo hanno prelevato per portarlo nella stazione di al-Dugi dove aveva passato la notte.
Da quella stazione di polizia Ayman non è più uscito, anche se le autorità locali sostengono il contrario. EppureAyman’s car was found outside of the al-Dugi police center along with his wallet and cell phone. La sua auto, con all’interno il suo portafoglio e il cellulare, è rimasta parcheggiata al di fuori del centro di detenzione.
His father considers this as evidence that his son disappeared in the police station and not the result of petty crime.I suoi parenti e i suoi amici dal primo momento hanno denunciato che si trattava di una ‘scomparsa forzata’: Ayman era un attivista per i diritti umani e nonostante fosse consapevole di quanto la sua azione di sensibilizzazione a favore del rispetto della legalità nei confronti dei detenuti in tutto l’Egitto, sottoposti a violenze estreme sia fisiche che sessuali, non si nascondeva.
Anzi. Con il suo account di Twitter, poi oscurato, aveva diffuso il testo delle lettere fatte uscire di contrabbando dai luoghi di detenzione, scritte sia da chi è rinchiuso nelle carceri del paese che nelle stazioni di polizia.
Torture has long been practised by Egypt’s security forces and has been condemned for decades by international human rights groups. La tortura, da lungo tempo praticata dalle forze di sicurezza egiziane, è lo strumento per estorcere confessioni a chi è ritenuto una spia o anche solo un oppositore.
Da decenni le organizzazioni internazionali denunciano le continue violazioni dei diritti umani, perpetrate impunemente da agenti e funzionari dello Stato.
Dall’inizio del 2014, secondo la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, ci sono stati almeno 120 morti in carcere.
In one letter shared with MEE, a man named Hassan Ali Ahmed, 29, who writes from the high security ward of Tora prison, describes being tortured both in prison and in the police station that he was taken to after his arrest.In una lettera diffusa proprio grazie ad Ayman, Hassan Ali Ahmed, 29 anni, da tre mesi nel reparto di massima sicurezza del penitenziario di Tora, descrive nei dettagli come è stato più volte torturato, sia in prigione che nella stazione di polizia dove era stato portato dopo il suo arresto.
The letter, dated 19 December 2014, details Ahmed’s treatment in Basateen police station in 2012 and then in Tora prison.Ahmed scrive che lui e le altre persone all’interno del suo padiglione subiscono aggressioni sessuali, vengono  spogliati, costretti in posizione prona e stuprati con tubi.
“Quando non sono le guardie le guardie a torturare i prigionieri, lo fanno altri detenuti su loro ordine. Usano fili elettrici per causare scariche elettriche ai nostri corpi già martoriati dalle botte” è il grido di dolore di Ahmed che sostiene di essere stato picchiato e violentato, trattenuto a forza fino alla rottura del braccio sinistro.
Nella lettera sono descritti anche altri episodi, come quello che vede come carnefice un un funzionario dei servizi segreti responsabile degli interrogatori a Tora e vittima un ragazzo, poco più che ventenne, Ahmed Ismail, costretto a bere una miscela di acqua, olio, sale, detersivo in polvere, latte e tabacco fino a quando non ha vomitato sangue.
Storie terribili, che disegnano un quadro che però in molti fingono di non vedere.
Nessuno chiede conto al governo egiziano di quanto avviene nelle proprie carceri, almeno fino a quando ad essere soggetto a trattamenti inumani è uno straniero.
In questi casi, quando non ‘devono’ trapelare notizie sulle torture subite da persone di altre nazionalità arrestate in Egitto, oppure egiziani detenuti illegalmente, dopo le violenze arriva la ‘scomparsa forzata’.

In un rapporto diffuso nel luglio 2015 Human right watch già segnalava centinaia di sparizioni, soprattutto di oppositori politici, attivisti e giornalisti scomodi per mano delle autorità egiziane che costituivano “una grave violazione del diritto internazionale”. L’organizzazione americana ha documentato decine e decine di  casi di persone scomparse in Egitto dopo essere state arrestate dalle forze di sicurezza. In più occasioni i funzionari statali hanno negato di avere trattenuto individui o si sono rifiutati di rivelare la sorte di molti di loro.
Hrw ha affermato con forza che il metodo ‘desaparecidos’ viene attuato sistematicamente e per finalità politiche, configurando in tal caso ‘crimini contro l’umanità’.

Il direttore di Human Right Watch, Joe Stork, ha sottolineato come sotto la presidenza del generale egiziano Abdul Fattah al-Sisi, che ha rovesciato l’ex presidente Mohammed Morsi nel 2013, le forze di sicurezza egiziane stiano operando nell’assoluta impunità: centinaia di persone sono state uccise e 40 mila sono state tratte in arresto per motivi politici.
Nel 2014 un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, costituito per indagare sulle denunce delle organizzazioni non governative, aveva accertato numerose scomparse anomale.
La relazione finale riportava 52 casi sui quali il governo di al-Sisi si era rifiutato di fare chiarezza.
Ma è stato nel 2015 che si è registrata una vera e propria escalation. L’Egyptian Commission for Rights and Freedom, organizzazione indipendente egiziana ideatrice della campagna «Stop Enforced Disappearance», ha registrato oltre 1.700 persone scomparse, una media che supera i quattro al giorno.
Come capita spesso i media internazionali hanno parlato e parlano spesso di questi desaparecidos, in Italia, a parte noi di Articolo 21 e della rete di ‘Illuminare le periferie’, poco o nulla è stato scritto.


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