Il problema più urgente è la tenuta delle banche italiane. Il clima in Europa si è fatto pesante per Matteo Renzi. Il contenzioso è ampio: margini di flessibilità sui conti pubblici italiani, rispetto dei patti sull’euro, immigrazione, crediti deteriorati delle banche, difesa comune. Tra Renzi e la Commissione europea ormai si scatena una polemica al giorno, alcune volte parole aspre prevalgono perfino sui toni diplomatici di un tempo. Fonti informali europee si sono spinte perfino a lamentare la mancanza di “un interlocutore” a Roma, come se l’Italia non avesse un governo. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd è soprannominato “il premier garrulo” per il profluvio d’interventi quasi quotidiano.
Accuse, più o meno pesanti, sono anche partite dall’interno del Partito popolare europeo, da molti ministri democristiani tedeschi. Commissione europea e Ppe quasi all’unisono hanno detto “basta” alle flessibilità dell’Italia, qualcuno ha parlato di “ricatti”. Qualche rampogna è venuta anche da alcuni esponenti socialisti francesi. Per ora la cancelliera tedesca Angela Merkel invece tace. Tace anche il presidente francese François Hollande. Le critiche formali, informali, sottintese hanno per destinatario il presidente del Consiglio. In Italia anche dall’interno del Pd si leva una pesante accusa contro Renzi: isola l’Italia in Europa. Si fanno i conti: l’Italia è in contrasto e, comunque, non ha una politica d’intesa né con la Germania, né con la Francia, né con la Gran Bretagna, né con la Spagna. Insomma, nessuna alleanza né con uno dei maggiori paesi dell’Unione europea e nemmeno con uno dei minori.
È passato all’attacco Enrico Letta. L’ex presidente del Consiglio, in una intervista a La Stampa, ha svolto quasi una requisitoria: «Questo tipo di politica italiana verso l’Europa, molto aggressiva e incattivita, finisce per isolarci e rischia di farci diventare una seconda Grecia». L’ex vice segretario del Pd ha rincarato: «Sì, devo esprimere una preoccupazione: ci stiamo isolando in modo preoccupante». Il predecessore di Renzi a Palazzo Chigi lo scorso anno si è dimesso da deputato ma, come aveva annunciato, «non dalla politica».
Difatti Letta, spinto bruscamente a lasciare la presidenza del Consiglio da una direzione del Pd dopo l’elezione di Renzi a segretario, da mesi fa il professore universitario in Francia, tuttavia non ha rinunciato “a fare politica”. Anzi ha dato due indicazioni al suo successore con il quale ha avuto rapporti contrastati: 1) «Il nostro destino è sempre stato e deve restare lo stesso: Francia e Germania»; 2) non deve commettere l’errore di accettare “due Schengen”, una formata dai paesi forti del nord Europa e una dalle nazioni deboli del Mediterraneo. La replica è arrivata dal ministro renziano Graziano Delrio: «Sbaglia Letta a parlare di isolamento. L’Italia non si lascia ricattare dagli interessi nazionali».
Renzi va avanti, ma sembra “sotto assedio”. Finora ha tenuto molto alto il tiro, soprattutto con la Commissione europea: «L’Italia non accetta provocazioni, non prendiamo ordini in qualche Palazzo di Bruxelles». Se l’è presa con la “tecnocrazia” e ha lanciato una nuova sfida: «Per scegliere il prossimo presidente della Commissione europea come democratici italiani chiederemo le primarie». Il presidente del Consiglio ha rivendicato i risultati delle riforme strutturali del suo governo e la politica verso gli immigrati disperati che attraversano il Mediterraneo in cerca di salvezza dalle guerre. Dal viaggio in Africa ha replicato: «Il nostro mestiere è salvare vite», alt «ai burocrati europei», ora «non prendiamo più lezioncine». Ha perfino rilanciato: «Siamo pronti a guidare l’Europa».
Le polemiche contro l’Unione europea e la Germania sono popolari in Italia e a giugno di voterà per i sindaci in molte importanti città come Milano, Roma, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari. Con “i toni forti” Renzi punta a contrastare “il populismo” di Beppe Grillo, M5S, e di Matteo Salvini, Lega Nord. Ma in molti casi le sue buone ragioni, come quando dice basta ad una politica di austerità finanziaria in favore di una di crescita economica, vengono indebolite dall’isolamento europeo in cui è piombata l’Italia. Si va avanti a strappi. Nella vita, in politica interna e, soprattutto, sulla scena internazionale, valgono più i rapporti di forza delle buone ragioni. Renzi ha dato il via libera al piano di 3 miliardi di euro, a cui tiene molto la Merkel, per aiutare la Turchia che ospita milioni di profughi (la Germania non vuole che Ankara riapra il “rubinetto” delle partenze degli immigrati verso le sue città).
Il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, vicinissimo alla Merkel, ha dato il disco verde all’intesa su una parte del contenzioso con l’Italia sulle banche, ma il resto delle richieste sono da risolvere. Renzi mette sul tavolo, oltre alla richiesta di “flessibilità” di 3 miliardi di euro di quest’anno per l’emergenza immigrati, anche altri 4 miliardi di arretrati da quando si è aperta la crisi in Libia. E non è tutto. Resta la contestazione dell’austerità, mentre si è persa traccia del piano d’investimenti da 315 miliardi di euro annunciato lo scorso luglio da Juncker. Renzi prepara una controffensiva per rompere l’”assedio” in vista del Consiglio europeo del 18 febbraio. Il giorno precedente, il 17, è previsto un vertice dei leader socialisti per mettere al centro della politica Ue la crescita economica e il lavoro.
La cancelliera tedesca, appena Renzi è entrato a fine gennaio nel suo studio a Berlino, pare abbia premesso: «Devi dirmi subito se possiamo ancora considerarci amici». Nel linguaggio democristiano la parola “amico” equivale a quella di “compagno” per socialisti e comunisti. Implica, cioè, un rapporto di forte identità e coesione politica. Renzi lo sa: la sua matrice è democristiana, ma il Pd aderisce al Partito socialista europeo. Da quel vertice non è uscita né una rottura né una piena intesa, ma una convergenza su alcuni punti per andare avanti.