Un papa che abbraccia il patriarca di Mosca, Kirill, dopo novecentosessantadue anni di scisma, divisione e mancanza di dialogo; un papa che si appella alla fratellanza universale e considera ogni uomo meritevole della misericordia di Dio purché manifesti un vero pentimento per i suoi peccati; un papa che chiede costantemente scusa per gli errori compiuti dalla Chiesa in ogni angolo del mondo e si china sul dolore e sulla sofferenza degli ultimi; un papa che ha fatto delle periferie, morali e materiali, la profezia, il senso e la ragione stessa del suo pontificato; un papa che ovunque vada è capace di parlare tanto ai credenti quanto ai non credenti, nonché ovviamente ai credenti di altre religioni; un papa per il quale esiste un unico Dio e una moltitudine di fedeli che ha il dovere di prendersi per mano, abbattere i muri, superare le antiche divisioni e cominciare a camminare insieme: questo è Francesco, apostolo di pace, messaggero di speranza, custode del pensiero evangelico e suo fedele interprete.
Di questo Papa, non a caso, l’aspetto che maggiormente sorprende, e spesso commuove, noi laici è l’umiltà, questo suo essere un uomo fra gli uomini, un peccatore fra i peccatori, una persona venuta da lontano,”dalla fine del mondo”, come disse nel bellissimo discorso con il quale si presentò in San Pietro il giorno dell’elezione al soglio pontificio, con la certezza di avere, a sua volta, bisogno della misericordia di Dio.
E il Dio di cui Francesco ha parlato anche in Messico non è una divinità onnisciente e punitiva, non è una figura superiore, ieratica, distante ma un uomo ricco d’amore che ha scelto il sacrificio estremo per riscattare l’umanità e indicarle un sentiero di giustizia e di speranza.
Ciò che colpisce della Chiesa di Bergoglio è questa sua inquietudine, questo suo essere costantemente in cammino, questo suo andare di paese in paese, di continente in continente, facendosi portatrice di un messaggio universale di ripudio di tutto ciò che è in contrasto con i diritti e la dignità delle persone: dalla corruzione allo sfruttamento, dalla distruzione dell’ambiente, del paesaggio e del territorio al traffico di droga e alla violenza continua e indiscriminata che sta squassando il Messico.
Papa Francesco è l’unico grande pellegrino del nostro tempo, un cultore del dubbio in una stagione nella quale molti uomini di potere sembrano coltivare unicamente effimere certezze, un protagonista in senso positivo di una stagione complessivamente negativa, un idealista in un’epoca nella quale gli ideali sono stati accantonati e sostituiti dal cinismo bieco e affarista che nega l’essenza, la natura stessa dell’uomo, un intellettuale dotato di una profondità senza eguali in una fase storica nella quale la fatuità, la superficialità e l’improvvisazione approssimativa e irrispettosa dominano l’intero panorama mondiale.
Eppure sbaglia chi pensa che Bergoglio sia un personaggio anacronistico, che il suo messaggio non arrivi, che la sua lezione e il suo magistero spirituale siano destinati ad evaporare senza lasciare traccia perché, prendendo spunto da un bellissimo adagio, possiamo asserire senza il timore di essere smentiti che chi pensa di poter sotterrare quest’esperienza pastorale e andare avanti come se non fosse mai esistita non ha fatto i conti con il suo essere un seme destinato a germogliare in futuro, a cambiare il mondo con la sola forza della sua autorevolezza e della sua credibilità, a restituire agli ultimi e agli oppressi la coscienza, la consapevolezza e il desiderio di essere innanzitutto persone, dotate di valori, di dignità, di diritti, di quel senso dell’umano che va al di là, ben oltre, i governi, le ideologie e persino oltre i tentativi di oppressione tirannica.
Papa Francesco ha scelto gli slum, i quartieri disperati, la miseria, il dolore, la sofferenza, ha scelto il profumo della fragilità, la bellezza della disperazione, il coraggio degli sconfortati e il loro desiderio di riscatto, ha scelto di farsi ultimo fra gli ultimi e di compiere fino in fondo il suo percorso missionario e apostolico in un mondo devastato dall’avidità e dagli idoli asfissianti della fama, della ricchezza e di un potere malato, disumano e disumanizzante.
Papa Francesco è uscito dal gregge, ha contrastato la massificazione, si è posto in contrasto con i dogmi e i tabù del nostro tempo sbagliato, ha indicato un’alternativa credibile e l’ha difesa, facendosene testimone anche in quelle zone del mondo nelle quali nessun altro uomo politico (perché papa Francesco è anche un grande uomo politico, non scordiamocelo mai) avrebbe il coraggio di mettere piede.
Per questo, anche se il suo pontificato, per ammissione dello stesso Francesco, sarà breve, il suo esempio rimarrà. Per questo nessun successore potrà tornare indietro senza pagare dazio agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Per questo la rivoluzione gentile di quest’uomo semplice e buono ha già cambiato l’agenda della Chiesa e anche quella della politica ad ogni latitudine, costringendo persino i suoi più feroci detrattori ad ammettere che nulla sarà più come prima, in quanto questo pontefice entrato in punta di piedi è riuscito nell’impresa più difficile: fare breccia nel cuore della gente e restituirle un orizzonte e la gioia di credere in qualcosa.