Di Alessandro Cardulli
Visto che a Roma è stato spedito un milanese, il prefetto Francesco Paolo Tronca, per ricoprire l’incarico di commissario prendendo il posto del legittimo sindaco, Ignazio Marino, secondo i voleri del presidente del Consiglio, a Milano si candida a sindaco per il centrodestra un romano, Stefano Parisi. Non c’è bisogno di primarie e neppure di cinesi. Hanno deciso Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni, i tre “magi”, che stanno soffrendo le pene dell’inferno per mettere in corsa candidati sindaci nelle altre città a partire dalla Capitale. Si va ad aggiungere a Giuseppe Sala, candidato sindaco voluto da Renzi, che ha vinto, si fa per dire, le primarie di Milano cui hanno partecipato, senza alcuna candidatura però, anche Sel, o parte di Sel, ancora non si capisce bene. Sala ha preso come è noto solo il 42% mentre i due candidati targati Pd, sinistra Pd non è ancora chiaro, mettendo insieme i loro voti avrebbero raggiunto più del 50%. È un dato, anche se si dice che le preferenze non si sommano. C’è anche un terzo candidato, Corrado Passera, che è stato perfino ministro per lo sviluppo economico nel governo Monti, inventore di “Italia unica”, un nuovo partito dice lui. Un comasco laureato alla Bocconi, manager, banchiere, imprenditore.
I candidati sindaci si somigliano. Benedetti dalla borghesia “produttiva” e da Cl. City manager di Moratti e Albertini
Sono tre che si somigliano molto. Hanno la benedizione della borghesia “produttiva” milanese, la società buona, di Comunione e liberazione che si farà in tre per sostenere i tre “magi”. In particolare l’industriale per eccellenza, politico, parlamentare, già presidente della Regione Lombardia, padre nobile della milanesità, Piero Bassetti, fa il tifo per il candidato del Pd. Vediamo intanto i due principali sfidanti, si fa per dire: Sala, ex presidente Expo, è stato city manager del Comune di Milano, braccio destro del sindaco Letizia Moratti, berlusconiana doc. Lui ha scoperto, ora, di essere sempre stato di sinistra, il suo cuore non batteva da quella parte. Dice che è un “tecnico”, non un politico. Un manager di cui si lodano le capacità. Anche Parisi, guarda caso, è stato city manager del Comune di Milano, sindaco Albertini alla guida di un centroestra, dal 1997 al 2000. Racconta Albertini, oggi Ncd, a meno che non abbia cambiato casacca : “Non è stato un caso se abbiamo scelto come direttore generale uno di loro che pensa come noi. In una conversazione con Letizia Moratti, definimmo Stefano Parisi, che era un altissimo burocrate ma con una visione molto imprenditoriale, manageriale, di questa sua funzione”. Un burocrate che pensa da manager insomma, definizione che ebbe molto successo nelle cronache milanesi. Si dà il caso che anche lui sia uno di sinistra. Laureato in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, quale è il suo primo lavoro?
Dall’Ufficio studi della Cgil a braccio destro del ministro De Michelis, poi folgorato dall’ex cavaliere
Lo troviamo a collaborare nell’Ufficio studi della Cgil. Simpatie socialiste che si trasformeranno in berlusconismo dei più agguerriti quando tangentopoli spazza via il partito di Craxi .Non è il solo che compie i primi passi nella Cgil, vedi Sacconi e molti altri, per poi iniziare la carriera da burocrate ministeriale all’ombra di ministri socialisti in particolare. Dal 1984 al 1988 è capo della segretaria tecnica del Ministero del Lavoro, poi lo troviamo alla vicepresidenza del Consiglio dei ministri durante il Governo De Mita (1988-1989) . Poi lo troviamo come capo della segreteria tecnica di Gianni De Michelis, ministro degli Esteri targato Psi. Parisi, raccontano le cronache, è l’uomo che prepara i delicati dossier per l’allora numero uno della Farnesina. Parisi punta in alto: capo del dipartimento per gli Affari economici della presidenza del Consiglio dei ministri prima con Giuliano Amato e poi con Carlo Azeglio Ciampi (1992-1997) con una parentesi alle Poste e Telecomunicazioni agli albori del boom della telefonia mobile. Nel 1994 scende in campo Silvio Berlusconi. Lui è pronto, subito con il berlusca, come tanti altri socialisti che li ritroviamo in Forza Italia, qualcuno oggi anche con Verdini. Sempre contro i sindacati e contro i lavoratori. Parisi punta a diventare segretario generale della presidenza del Consiglio di Berlusconi. Non ci riesce, l’ incarico se lo aggiudica. Franco Frattini. Nel 1997 arriva a Milano, “uomo macchina” di Albertini. Poi lo troviamo come direttore generale di Confindustria, presidente Antonio Damato. In quegli anni 2000-2004, raccontano le cronache, da burocrate diventa manager. Ha qualche problema con la giustizia ma se la cava bene. Lo troviamo amministratore delegato di Fastweb, poi gestisce l’operazione Chili Tv, cinema in streaming. Di lui si era parlato come possibile presidente della Rai.
La storia del fondatore di Italia Unica, rompe con Monti, la politica la sua ambizione
Il terzo, Corrado Passera, non ha un passato socialista, si definisce un liberal, e chi non lo è, sta con Scelta Civica di Monti, poi lo abbandona. Lo troviamo alla direzione di importanti società, da quella dell’Espresso, alla Olivetti, poi arriva l’epoca delle banche, poi le Poste. Al termine della legislatura abbandona Monti, non partecipa a Scelta Civica perché, dice, “non ne riconoscevo sufficiente novità e ambizione. È stato il momento in cui ho fatto un passo indietro dall’azione di Governo per misurarmi con un’ambizione molto più grande: la politica in prima persona”. Fonda Italia Unica, dice che ci sono già 150 sedi aperte in tutta Italia anche se nessuno se ne è accorto. Scopre l’acqua calda quando afferma che “la politica deve partire innanzitutto dal territorio e dalla dimensione politica della città e delle sue comunità”.
Cofferati: ci vorrebbe un candidato di sinistra che rappresenti il lavoro
Milàn, l’è un gran Milàn, dice la canzone, la città che il commissario Cantone vorrebbe come capitale morale d’Italia, diventa capitale di un esperimento negativo, la politica, quella con la P maiuscola, la cultura politica, cede il passo alle oligarchie, a gruppi di potere che hanno bisogno di manager, imprenditori, che tessono rapporti, non con i cittadini ma con gli altri della casta, per carità niente di illegale, a volte magari qualcosina che si chiama corruzione, ma lasciamo perdere. È grave che proprio là dove la partecipazione dei cittadini ha bisogno della politica, della buona politica, si faccia ricorso a manager, imprenditori la cui storia non ha niente a che vedere con il bisogno di rinnovamento della società, degli organismi che l’amministrano, secondo Costituzione, i comuni in primo luogo, trasformati per il carattere di queste candidature, in una sorta di società per azioni, di imprese da gestire. Concludendo, richiamiamo una frase di Sergio Cofferati, pronunciata a Ballarò, presente Giuseppe Sala. Dice l’ex segretario generale della Cgil che in una città come Milano ci vuole un candidato di sinistra che rappresenti il lavoro, non solo l’impresa nella logica renziana. Sala non la prende troppo bene anche perché a una possibile liste di sinistra c’è chi ci sta pensando.