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Mafia e corruzione, l’Italia al secondo posto in Europa

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Non si fa a tempo ad archiviare (si fa per dire) l’ultimo scandalo nella regione Lombardia in cui le tangenti sono passate a fiumi da imprese a politici dei vertici istituzionali, presieduti dall’ex ministro degli Interni dell’ultimo  governo Berlusconi, Roberto Maroni, che ricerche come quella dell’Università di Torino che si intitola War on crime (delle ricercatrici Valeria Ferraris, Caterina Mazza e Laura Scomparin) stilano nuove classifiche e, rispetto alla corruzione e al crimine organizzato: e qui devi leggere ancora una volta in maniera prevalente che il nostro amato Paese è nei primi posti della classifica europea.

La ricerca, che si presenta oggi nell’ex capitale piemontese, riguarda venticinque paesi dell’Unione Europea (escludendo tra i paesi Belgio, Cipro e Grecia) e riguarda i due settori centrali degli appalti edilizi e della sanità pubblica che, come è noto, spetta per competenze alle Regioni. Secondo lo studio torinese, tutti gli appalti pubblici sono agevolmente permeabili alla criminalità organizzata.  Le cifre del settore sono impressionanti perché gli appalti pubblici rappresentano una gigantesca attrazione per gli appetiti delle associazioni mafiose e per i colletti bianchi. La spesa per beni, opere e servizi aumenta ogni anno da sola a un quinto del Prodotto industriale lordo dell’Unione Europea e occorre tener presente che le costruzioni e la sanità sono quelli che impiegano la quota maggiore dei finanziamenti. Nel caso della sanità, il rischio è rappresentato dalle alleanze opache che si instaurano tra soggetto pubblico e interessi privati. Nella ricerca torinese si legge: “Gli appalti per le forniture mediche sono destinati a una ristretta cerchia di operatori del settore ed è molto interessante rilevare  che quasi mai questi appalti vengono assegnati a for nitori stranieri. I contratti internazionali rappresentano soltanto il 2,48% del valore complessivo dei contratti per la fornitura di attrezzature mediche, prodotti farmaceutici, e prodotti per la cura delle persone. Siamo in assenza di una vera concorrenza e dell’importanza delle intese personali tra acquirenti e fornitori. Non a caso nel settore “collusioni, cartelli di impresa e frodi sono prati che comuni”. Nel settore delle costruzioni i problemi maggiori nascono nella fase dei subappalti. Non a caso, anche i Paesi che normalmente mantengono bassi livelli di regolamentazione come la Finlandia, si preoccupano di filtrare l’accesso a questo mercato.

Dal punto di vista della vulnerabilità, le costruzioni coincidono al settore di massimo rischio per Italia, Austria, Francia, Finlandia, Portogallo, Spagna e Venezia. Mentre la Sanità è considerato un settore particolarmente sensibile soprattutto in Italia e in Polonia. Non sono esenti da forti rischi anche il settore dei trasporti, dell’energie e dello smaltimento rifiuti, seppure in modo differenziato nei vari paesi. “Gli appalti pubblici – osservano le ricercatrici – connessi con la Difesa, la Pubblica Sicurezza e l’Esercito sono considerati molto vulnerabili soprattutto per una diffusa mancanza di trasparenza. A questi si aggiungono contratti assegnati a livello locale dove “legami familiari, relazioni sociali, amicizie e conoscenze, la necessità di fornire opportunità di lavoro per le comunità locali, soprattutto in un momento di crisi e la mancanza di conoscenza e professionalità nelle piccole amministrazioni “costituiscono  altrettanti fattori di rischio.

Ultimo, ma non per importanza l’ambito dei servizi sociali ed educativi dove le emergenze (vere o presunte) generano spesso un abuso di procedure speciali che eliminano qualsiasi forma di concorrenza e rendono impossibili i controlli.

Nei 25 Paesi presi in esame la differente vulnerabilità degli appalti pubblici dipende soprattutto dal generale livello di corruzione e illegalità dei governi locali e nazionali. La ricerca distingue le nazioni sulla base di tre livelli di rischio (alto, medio e basso) a partire delle normative, dei precedenti giudiziari e dei rapporti precedenti: “Una valutazione di alto rischio non significa che gli appalti pubblici in quel Paese sono influenzati da infiltrazioni criminali, corruzione e comportamenti non etici. Vuol dire piuttosto che gli appalti pubblici sono giudicati vulnerabili secondo gli standard di quel Paese. Rispetto agli altri Paesi, l’Italia è un unicum nella sua dotazione di strumenti normativi  ma questo non la mette al riparo dei rischi: fatta la legge, trovato l’inganno. La dimostra la lunga serie di tecniche utilizzate per inquinare le procedure di appalto: dai bandi scritti ad hoc “per rispondere a bisogni non esistenti e appositamente fabbricati” “alla “diffusione di informazioni riservate relative al bando di gara allo scopo di favorire alcuni partecipanti”. Ma è soprattutto l’assenza di reali controlli in fase di esecuzione dei lavori a generare gli effetti più perversi:” la stazione appaltante sembra dimenticare il contratto una volta che è stato assegnato e, nella maggior parte dei Paesi, non sono previste autorità incaricate di monitorare l’esecuzione del contratto. E si verificano la bassa qualità dei materiali utilizzati, l’aumento dei costi durante l’esecuzione dell’opera e i ritardi nell’esecuzione. “Che cosa è che non funzione si chiede la ricerca? E si conclude: “Siamo arrivati alla conclusione che la sovrapposizione delle competenze rischia di aumentare la vulnerabilità . O di richiedere meccanismi di coordinamento non sempre facili da realizzare”. Ma la ricerca non si chiede alla fine una cosa che chi scrive finirebbe per forza di chiedersi: “Questo non è un problema anche (o soprattutto) di selezione delle classi dirigenti a livello nazionale come a livello locale? E’ quello che avrebbero detto all’unisono, pur non essendo d’accordo su altri aspetti, studiosi della politica italiana come diversi come furono in passato Guido Dorso nella sua Rivoluzione meridionale   o Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere.  O sbaglio ancora una volta?


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