ROMA – Oggi il Manifesto pubblica l’ultimo contributo di Giulio Regeni, per la prima volta senza pseudonimo, ma con il suo vero nome. Inizia con una denuncia sullo stato di polizia in Egitto. Un tema delicato in un paese dove spesso si consuma una violenta e silenziosa repressione ai danni dell’informazione e della conoscenza.
E difatti il giovane ricercatore italiano, – come confermano le fonti mediche – è stato con ogni probabilità torturato prima di morire. Regeni “temeva per la sua incolumità”, come ribadisce Tommaso di Francesco in prima pagina, e quando inviava dei materiali, chiedeva l’uso di uno pseudonimo. “Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del Paese mentre l’ Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa”, scrive Regeni, che racconta la ‘resistenza’ dei sindacati indipendenti e in particolare un incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (Ctuws), tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano.
Il Manifesto ha deciso di pubblicare l’articolo, malgrado la famiglia di Regeni fosse contraria. Lo ha fatto, spiega il giornale, per testimoniare “sulla morte violenta” del giovane, “di fronte alle troppe reticenze ufficiose e ufficiali e alle gravi contraddizioni delle prime indagini tra la procura egiziana che conferma torture indicibili e il ministero degli interni del Cairo che le smentisce”. Ieri le autorità italiane hanno chiesto una indagine congiunta ed esortato un veloce rimpatrio della salma, su cui sono stati ritrovati evidenti segni di tortura e prove di una “morte lenta”, come trapelato dopo i primi tentativi del Cairo di promuovere l’improbabile pista di un incidente stradale o di un omicidio a sfondo sessuale.Oggi nella capitale egiziana deve arrivare un team di inquirenti italiani. Al telefono con il premier Matteo Renzi, il presidente egiziano ha promesso “ogni sforzo” per arrivare a far luce sulla terribile vicenda.