Lotta alla povertà, l’Alleanza gela il governo: “Delega da riscrivere”

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Secondo il cartello di realtà che si batte per l’introduzione di una misura di contrasto alla povertà il testo del ddl delega non mantiene le promesse: dimentica i servizi di accompagnamento, aiuta solo 3 poveri su 10 e vincola l’aiuto agli altri 7 agli incerti risultati della revisione della spesa

 

ROMA – Il disegno di legge delega presentato dal governo per contrastare la povertà è una battuta d’arresto nel percorso di introduzione di una misura nazionale rivolta a tutti i poveri: al di là delle buone intenzioni, infatti, non permette lo stanziamento di alcuna risorsa aggiuntiva e dimentica completamente di occuparsi dei servizi di accompagnamento che dovrebbero essere offerti alle persone povere oltre al beneficio monetario previsto. Un beneficio che nel 2016 sarà limitato al 30% dei poveri e che, stando così le cose, lascerà anche fuori, anche nei prossimi anni, il restante 70% di poveri assoluti.

A spegnere gli entusiasmi rispetto al progetto del governo presentato in pompa magna sia dal presidente del Consiglio Renzi sia dal ministro del Lavoro e Politiche sociali Poletti è l’Alleanza contro la povertà, il cartello che racchiude al suo interno associazioni, sindacati ed enti a varia misura impegnati per l’introduzione di una misura stabile di contrasto alla povertà assoluta, che interessa secondo l’Istat 4,1 milioni di persone. Una misura universalistica che in Europa manca solo in Grecia e in Italia e che dovrebbe comporsi di un contributo economico e di percorsi d’inserimento sociale e lavorativo.

Ebbene, l’Alleanza dà atto al governo Renzi di aver varato con la legge di stabilità “il più significativo intervento mai deciso in Italia contro la povertà” (600 milioni per il 2016, un miliardo dal 2017), che con l’aggiunta di risorse già disponibili porta il totale a disposizione a 1,5 miliardi per ognuno dei prossimi anni. Ma il disegno di legge delega presentato dal governo alcuni giorni fa “segna l’allontanamento dal cammino verso l’introduzione” di una misura universalistica sul modello del Reis proposto da tempo dall’Alleanza.

Le ragioni sono tre. In primo luogo “non è previsto – denuncia l’Alleanza – il necessario incremento di finanziamenti. La delega esclude ulteriori stanziamenti per la lotta alla povertà, tranne quelli provenienti dal riordino complessivo delle prestazioni assistenziali. Il punto di fondo – seppure manchino stime precise – è chiaro: la delega non contiene alcuna ipotesi di finanziamento che renda possibile (e neppure avvicinabile) prima del prossimo decennio il reperimento dei 7 miliardi indispensabili per il Reis”. L’Alleanza chiede invece di prevedere un percorso di graduale incremento delle risorse che permetta di introdurre la misura nella sua interezza entro il 2019 e chiede di separare gli atti sulla lotta alla povertà da quelli sulla revisione dell’assistenza. E’ vero che il riordino delle prestazioni assistenziali è necessario, viene spiegato, ma esso deve essere vincolato ad una vera riforma del welfare, con l’obiettivo di ampliare e rendere più efficace il sistema di protezione sociale. Poiché il complesso della spesa assistenziale coinvolge ben più persone e interessi rispetto alla povertà, se le due problematiche non venissero scisse la gran parte del dibattito sulla delega non riguarderebbe – sostiene l’Alleanza – i poveri bensì la revisione della spesa. E invece è il tema della lotta alla povertà in Italia a dover essere posto al centro dell’attenzione pubblica.

Secondo punto: ci si ferma a 3 poveri su 10. L’Alleanza propone di giungere al Reis attraverso un Piano in quattro annualità, dal 2016 al 2019, che incrementi via via le risorse sino a disporre, alla sua conclusione, dei 7 miliardi necessari a raggiungere tutti i 4,1 milioni di persone in povertà assoluta. Mentre per il 2016 i fondi previsti dal Governo sono sostanzialmente simili a quelli ipotizzati dall’Alleanza, a partire dal 2017 le strade divergono perché l’attuale testo della delega non ne contempla la progressiva crescita bensì la stabilizzazione a 1,5 miliardi annui. Le dichiarazioni governative indicano l’intenzione di erogare contributi monetari di importo piuttosto basso, in modo da allagare il più possibile l’utenza raggiungibile con soli 1,5 miliardi. Si arriverebbe così a coprire intorno al 30% delle persone povere (tra 1,2 e 1,3 milioni), quelle appartenenti ad alcune tra le famiglie indigenti con figli. Anche l’Esecutivo intende avviare il proprio piano nazionale ma attribuisce a questo termine un significato diverso rispetto all’Alleanza. In un caso s’intende la stabilizzazione di una misura per 3 poveri su 10, nell’altro la graduale costruzione di un sostegno rivolto a chiunque si trovi in povertà.

Terzo punto: l’inclusione sociale rischia di rimanere solo un obiettivo dichiarato. La delega enfatizza la natura di inclusione attiva, e non assistenziale, delle nuove prestazioni, aspetto fortemente condiviso dall’Alleanza. Si tratta allora di elaborare – nei territori – progetti personalizzati d’inserimento sociale e di mettere in campo gli interventi necessari alla loro attuazione. Le politiche sociali italiane, d’altra parte, sono disseminate di norme con finalità apprezzabili ma non accompagnate dagli strumenti per realizzarle. Il punto decisivo, dunque, è fornire ai soggetti del welfare locale, a partire dai Comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare per l’inclusione degli utenti. L’attuale testo della delega suscita preoccupazione in proposito. Per i servizi territoriali chiamati in causa si prevedono solo finanziamenti europei temporanei, che scompariranno all’inizio del prossimo decennio (la cifra di1,5 miliardi strutturali è destinata esclusivamente ai contributi economici); peraltro le risorse disponibili per queste prime annualità (intorno a 150 milioni annui) sono senza dubbio inadeguate. Il carattere di provvisorietà dello stanziamento per i percorsi d’inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini, assente nella delega. Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative di accompagnamento e formazione, e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall’esperienza. Complessivamente, dunque, si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l’inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo.

“Il Governo Renzi – conclude l’Alleanza – ha avuto il merito di costruire le condizioni affinché nel nostro paese si possa gradualmente arrivare all’introduzione di una misura nazionale con il profilo del Reis. L’approvazione dell’attuale testo del disegno di legge delega, però, allontana l’obiettivo. L’Alleanza contro la Povertà in Italia ne chiede, pertanto, una profonda revisione, attraverso un ampio confronto pubblico tra Governo, Parlamento e soggetti sociali”.

Da redattoresociale


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