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Licio Gelli e l’Italia che tende a dimenticare il passato

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Nelle ultime pagine di un libro che sarà  prezioso per le nuove generazioni e che l’editore Donzelli ha pubblicato qualche mese fa, nel dicembre 2015,  senza esitazioni, il mio vecchio amico e collega nell’Università di Torino, Massimo L. Salvadori ha detto con chiarezza quale è il dilemma della democrazia contemporanea in Italia come altrove, ma forse nel nostro amato Paese con particolare chiarezza. Ha parlato lo storico piemontese del dilemma irrisolto che,  in un Paese nel quale non esistono più organizzazioni di partito in grado di rappresentare gli strati sociali più deboli e farne valere gli interessi, tende a realizzarsi.”

“Da un lato-afferma Salvadori-la democrazia si fonda sul principio che il potere debba appartenere all’insieme del popolo, dall’altro l’esperienza offerta da tutti i regimi dice che questo insieme non può esprimersi e agire se non per mezzo delle élites che lo dirigono, lo rappresentano e anche lo manovrano. E così Salvadori ha parlato per democrazie come quella attuale italiana di democrazie a “legittimazione popolare passiva” che vedono la vittoria di vecchie e nuove oligarchie sulle istituzioni democratiche che restano più o meno in piedi. E questa mi sembra la definizione che si attaglia meglio al nostro amato Paese in cui i partiti da tempo si sono trasferiti in aggregazioni più o meno definitive  piccole e grandi  di gruppi di politici di professione che trovano un leader disposto a mettersi alla loro testa avendone l’energia  e le opportune qualità. E queste qualità come l’esperienza recente del capo della P2, Licio Gelli, ha dimostrato in tutti i modi nei vicini anni Novanta del Novecento all’attonita penisola. Non è un caso che proprio in questi giorni siano usciti due libri, uno Licio Gelli. Vita, misteri e scandali del capo della P2  delle edizioni Dedalo, firmato da Mario Guarino e di una giornalista Fedora Raugeri che ha scritto un libro  anni fa sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna con una prefazione di Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime di quella strage, e l’altro di  Federico Repetto  Cultura televisiva e berlusconismo pubblicato dall’editore Aracne.   Da questi libri, ma anche dalle centinaia di fascicoli che compongono gli Atti parlamentari, scritti durante l’inchiesta presieduta dall’on. Tina Anselmi negli anni Ottanta, emerge con chiarezza che Gelli in quegli anni, come riportò un generale in quella inchiesta, “era un uomo di grande prestigio ed aveva relazioni ad altissimo prestigio. Telefonava spesso ad Andreotti, a Cossiga ed a casa al Quirinale con Saragat.” e anche che nella “loggia coperta” che si chiamava “Propaganda 2” erano entrati dodici generali dei Carabinieri, cinque generali della Guardia di Finanza, ventidue generali dell’Esercito, quattro generali dell’Aeronautica militare, otto ammiragli della Marina, molti direttori e funzionari dei vari Servizi segreti, quarantaquattro parlamentari, due ministri dell’allora governo in carica, un segretario di partito (il socialdemocratico Tanassi) e un numero molto alto di giornalisti e direttori di varie testate dei media(a cominciare da quello della più grande testata tra i quotidiani presenti in Italia).

Gelli ha raccontato da solo in televisione poco prima di morire a 96 anni in una puntata di Focus il suo tempestoso itinerario incominciato nel 1936, a diciassette anni, quando decide di andare nella Spagna divisa dalla guerra civile tra seguaci di Franco e della repubblica democratica per sostenere il nascente regime franchista alleato dei due fascismi europeo, quello di Mussolini in Italia e quello di Hitler in Germania .Licio si distingue in un’azione pericolosa, viene decorato da Franco in persona e tra i caduti c’è suo fratello maggiore Raffaello. Questo è un fatto traumatico che segna la psicologia del giovane: ai suoi occhi di balilla mussoliniano i “comuni sti” diventano il “male assoluto” che sta distruggendo l’Europa. Licio, rimpatriato, viene ricevuto dal duce a palazzo Venezia e ricorderà tutta la vita quell’incontro. Durante la seconda guerra mondiale, si impadronì durante un’azione spionistico-militare di una parte della Banca nazionale serba. Secondo alcune ricostruzioni,  gli venne affidato il tesoro di re Pietro di Jugoslavia: 60 tonnellate di lingotti d’oro, 2 di antiche monete, 6 milioni di dollari e due milioni di sterline che gli uomini del SIM(il servizio segreto fascista)avevano prelevato dai forzieri della Banca nazionale serba e nascosto in una grotta. L’oro arrivo effettivamente in Italia via Trieste e fu consegnato alle autorità di Roma. Ma quando nel 1947 il tesoro venne restituito dalle autorità jugoslave mancavano venti tonnellate di lingotti trattenute in Ar gentina proprio da Gelli. Tornato in Italia, Gelli incomincia a collaborare con la CIA e si iscrive alla massoneria mantenendo la sua “fede” più o meno segreta nella dittatura fascista. Dopo aver scontato un breve confino all’isola della Maddalena dopo l’ex sindaco fascista Marchetti lo aiuta a iscriversi alla massoneria, fa l’assistente parlamentare al deputato democristiano  Romolo Diecidue negli anni Cinquanta e  poi passa a dirigere come direttore una fabbrica di materassi Permaflex  .Grazie agli appoggi della DC e del Vaticano, Gelli ottiene una grossa commessa della Nato per la sua azienda Permaflex  Alla sua antica ossessione per la centralità dei media che ha ereditato dalla padronanza assoluta che il regime che ammirava da giovane aveva per tutti i mezzi di comunicazione, dai giornali alla radio e alla nascente televisione, Gelli si muove subito e acquista sempre nuovi adepti. Il gran maestro della massoneria, Giordano Gamberini, gli affida il compito di rivitalizzare una loggia coperta che diverrà poi la P 2. “Nel giro di alcuni anni-ha raccontato in Focus- raggiungemmo il numero di mille apprendisti.

All’inizio degli anni Ottanta, i giudici milanesi Turone e Colombo, in una perquisizione per la villa di Gelli in provincia di Arezzo a Castiglion Fibocchi, trovarono le liste degli affiliati destinate peraltro con il tempo a crescere di numero e di importanza. A loro si doveva un progetto cui si affiliarono personaggi come il banchiere Roberto Calvi e l’imprenditore di Arcore Silvio Berlusconi che avrebbero avuto un ruolo-a giudicare da numerosi indizi mostrerebbero, in tentativi di golpe e attentati terroristici  come la strage maggiore per le vittime, quella alla stazione di Bologna, il  2 agosto 1980. Sul ruolo della P 2 vale la pena ricordare almeno quello che la presidente della Commissione d’inchiesta, Tina Anselmi, scrisse : “La P2 era un’organizzazione che aspirava non alla conquista del potere nelle sedi istituzionali ma al controllo di esse in maniera surrettizia(…). Gelli era il punto di collegamento fra la  piramide superiore nella quale vengono identificate le finalità ultime e quella inferiore dopo esse trovano attuazione.” Un giudizio importante in un Paese come l’Italia che tende a dimenticare il passato soprattutto quando è poco piacevole.


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