Le sorprese infinite del “caso Moro”

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Davanti alla commissione sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro che- in omaggio all’equidistanza tra destra e sinistra  del governo Renzi-Alfano – è presieduta dall’ottimo  Giuseppe  Fioroni, ha deposto ieri don Fabio Fabbri, braccio destro ai tempi del cappellano delle carceri don Cesare Curioni. E parla della trattativa voluta da papa Paolo VI e del misterioso intermediario che Curioni incontrava quasi sempre a Napoli nella toilette della metropolitana,  con i dieci miliardi raccolti dal pontefice per trattare e concludere il riscatto dello statista democristiano dalle Brigate Rosse. “Non erano soldi dello IOR-dice don Fabio Fabbri che ha fornito alla commissione, lo ha detto Fioroni in serata, e parla dell’agente segreto “Gino” che vede una volta alla settimana durante i 55 giorni del sequestro. E non sa il vero nome dell’agente ma alla Commissione  dà tutte le indicazioni per rintracciarlo: “era lo zio di una donna di cui ho celebrato il matrimonio.”

E a questo punto, dopo una ora circa dall’inizio dell’audizione davanti alla Commissione, chiede ai commissari se hanno guardato con attenzione l’autopsia del presidente democristiano. E ricorda che guardò con attenzione quelle fotografie del documento con don Curioni subito dopo la morte di Moro nel 1978. E don Curioni-ricorda don Fabio Fabbri- ebbe un sussulto ed esclamò:”io conosco il killer, è un professionista e quella è la sua firma.”  Bisogna tener presente-ricorda ancora don Fabbri-monsignor Curioni conosceva bene il mondo delle carceri perché andava spesso nei penitenziari, ne respirava l’aria, conosceva bene i suoi abitanti e sentiva le confidenze dei detenuti sin dai tempi dell’attentato a Togliatti nel luglio 1948. Tra i particolari di quei tempi c’erano i sei colpi attorno al cuore che aveva ritrovato sul corpo di Aldo Moro. Don Curioni aveva messo bene a fuoco l’identità del personaggio che aveva conosciuto in passato quando era ancora un piccolo delinquente ed era stato portato al carcere minorile di Milano intitolato a Cesare Beccaria.

Forse negli anni successivi aveva avuto qualche altra notizia di lui e poi quando vede in fotografia del cuore di Moro crede di riconoscere quella firma dell’assassino.  L’ultimo particolare che emerge dall’audizione di don Fabbri e che “ci fu un successivo accordo tra il presidente Andreotti e don Cesare Curioni che aveva chiesto al presidente del Consiglio la garanzia che non sarebbe mai stato chiamato a parlare di un suo coinvolgimento-come testimone, si intende- nel caso Moro. Una richiesta che Andreotti accolse senza difficoltà. Ora nei prossimi tempi potrà vedersi se la deposizione del prelato potrà avere sviluppi nelle indagini aperte dalla terza commissione su quello che Sciascia aveva definito il misterioso “affaire Moro”.


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