Sembrava che per la Siria si stesse profilando finalmente una svolta, con la partecipazione all’ultimo minuto utile del fronte della ribellione alla conferenza di pace iniziata domenica scorsa a Ginevra.
Ma gli attentati multipli a Damasco dello Stato Islamico, che ancora una volta ha voluto colpire i musulmani ‘infedeli’, hanno segnato i colloqui in Svizzera, forse il principale obiettivo del gruppo terroristico.
Le trattative sono ferme, gli scambi di accuse tra governo e opposizione impediscono ai lavori di entrare nel vivo rendendo vana la presenza dei ribelli che finora non erano andati oltre l’Alto comitato per i negoziati istituito a Riad, in Arabia Saudita.
E a Damasco, nel frattempo, si continua a contare i morti.
E’ salito ad almeno 80 il bilancio delle vittime e a 110 dei feriti dell’attacco al santuario sciita di Sayyida Zeinab, a sud di Damasco, e di altre due esplosioni. La macabra conta, ha drammaticamente fatto sapere l’Osservatorio siriano per i diritti umani, non è ancora finita aggiungendo che più della metà delle vittime sono civili.
Che non fossero solo i miliziani fedeli al presidente Bashar al-Assad nel mirino dell’Is era evidente.
Il mausoleo-moschea scelto per la nuova strage, a circa 17 chilometri da centro della capitale, è sotto la protezione del gruppo libanese Hezbollah impegnato nella guerra civile al fianco delle truppe di Assad ed è uno dei principali luoghi di culto del Paese, essendo lì sepolta una delle nipoti del Profeta Maometto.
Meta di pellegrinaggio nonostante la guerra per tutti gli sciiti, non solo quelli siriani, il sito era già stato preso di mira in passato dai terroristi.
Nel febbraio del 2015 un attacco suicida a un posto di blocco vicino al santuario provocò la morte di quattro persone e il ferimento di altre 13. Nello stesso mese venne colpito anche un autobus di pellegrini libanesi diretto alla moschea, in un attentato rivendicato da al Nusra, formazione terroristica legata ad al Qaeda, e costato la vita a nove fedeli.
Domenica scorsa l’azione è stata programmata con estrema lucidità e ferocia: tre esplosioni a distanza ravvicinata, causate da due kamikaze e da un’autobomba lasciata davanti ad una fermata degli autobus, che dovevano uccidere più persone possibili.
I due attentatori suicidi hanno attivato le cinture esplosive poco dopo la deflagrazione del veicolo, facendosi saltare in aria tra i soccorritori che erano accorsi per aiutare i feriti.
Chiara la rivendicazione del gruppo Wilayat Dimashq, costola dell’Is a Damasco, che in un comunicato diffuso via web ha fatto sapere che l’attentato era contro gli “apostati politeisti”.
Questo clima avvelenato dal terrore ha pressoché annullato le aspettative per il colpo di scena a Ginevra: dopo il rifiuto iniziale di partecipare all’apertura dei negoziati con il regime di Assad fino a quando avesse continuato a bombardare i quartieri residenziali, nel fine settimana i ribelli siriani hanno deciso di inviare i loro rappresentanti alla Conferenza in Svizzera.
E forse questa è una delle ragioni che hanno spinto l’Is a colpire proprio domenica.
Dietro la decisione dell’opposizione di aderire ai colloqui di pace c’è il gran lavoro di mediazione degli Stati Uniti e dei sauditi.
La scelta dei ribelli poteva cambiare gli scenari, con una pressione maggiore sul regime. Ma ora tutto sembra rimesso in discussione e la speranza, o forse l’illusione, che si stesse compiendo un primo passo per garantire la fine delle sofferenze della popolazione civile subisce una nuova e brusca frenata d’arresto.