Da sempre le donne sono oggetto di molestie e violenze, in ogni dove. Anche tra “i nostri uomini”. E invece, come ci hanno raccontato i fatti di Colonia?
Di Roberta Serdoz
Quarant’anni fra una manifestazione e l’altra, ma sempre di donne, ieri come oggi. Donne insieme contro ogni forma di violenza sessista e di fanatismo. E i media come hanno raccontato queste piazze? Quanto si è evoluto o quanto invece è rimasto stereotipato il loro sguardo? Hanno spiegato o invece banalizzato o addirittura soffiato sul fuoco? Riprendiamoci la notte, tornano a proporre le organizzatrici della manifestazione di oggi a Colonia, in marcia per ribadire il nostro collettivo NO alle violazioni dei diritti. Era una notte di fine novembre del 1976. Le donne italiane si ritrovarono nelle piazze antistanti le principali stazioni ferroviarie, da Termini a Roma alla Centrale a Milano, sotto lo slogan “La notte ci piace, vogliamo uscire in pace”. Forte era la voglia di rimpossessarsi del proprio corpo, delle proprie libertà, della luna e delle stelle disegnate su quel pezzo di carta che a Roma le chiamava a raccolta, in anni in cui le violenze contro le donne sembravano non avere mai fine. Quarant’anni dopo, il Capodanno di Colonia. Quelle parole che allora vennero scritte su un volantino di carta rosa ciclostilato, oggi tornano ad essere un simbolo.
Ancora una volta, noi donne siamo state utilizzate, senza se e senza ma.
Ancora una volta serve l’immagine dell’essere fragile ed indifesa per legittimare un orrore che in questo in questo caso è il razzismo. La cronaca di quello che è accaduto l’ultima notte dello scorso anno ha ancora tratti oscuri.
In centinaia hanno denunciato di essere state violate in diversi posti della città.
Hanno raccontato come quegli uomini frugavano con voracità i loro corpi, hanno descritto gli sguardi e quelle mani pronte a rubare l’intimità.
Ma come spesso accade, i gesti violenti commessi contro quelle donne che festeggiavano la fine del 2015, sono stati messi in disparte per dare spazio alla rabbia dettata dalla paura del diverso. E nello specifico, il fuoco razzista è stato alimentato proprio dalla stampa, dall’inadeguatezza delle parole utilizzate, nella speranza di trovare subito i colpevoli da mettere alla gogna, con la consapevolezza di portare avanti una tesi già precostituita: cacciare lo straniero, chiudere le frontiere, alimentare la paura “dell’uomo nero”. E’ il sito di uno dei maggiori quotidiano tedeschi, il Bild, ad aprire con l’immagine di un foglietto ritrovato nella tasca di uno degli arrestati. In una sgrammaticata traduzione dall’arabo al tedesco, le minacce scurrili da ripetere alle donne.
Un crimine non è di tipo etnico.
A Colonia, come nel resto del mondo, le donne sono oggetto di tastamenti e molestie; violenze e prevaricazioni. In una stazione tedesca o su un autobus a Milano. E’ successo tante volte e spesso, l’evoluto occidente non se ne è accorto, o ha fatto finta di non accorgersene. E non sono gonne corte, donne ubriache o provocatorie ad attirare l’attenzione verso uno stupro, come le cronache distratte troppe volte raccontano con linguaggi da far accapponare la pelle. E soprattutto quando l’uomo violento è, ad esempio, un militare americano, come accaduto a Vicenza, nessuno ha scritto e demonizzato la religione cristiana.
Nessun alibi per chi si è macchiato di violenza.
Nessuna giustificazione per quei paesi che oggi vogliono negare l’ingresso ai migranti.
Il rispetto per le donne non ha un colore nè una razza.
I compagni o mariti italiani che uccidono o riducono in fin di vita le donne a loro vicine, non trasferiscono il seme della violenza a tutta la popolazione maschile del nostro paese.
L’equazione musulmano/arabo uguale stupratore è da cancellare, come una vergogna.
Così come vanno messe al bando le offese contro il genere femminile.
Le parole si traducono in violenza, legittimano alibi.
Non si scherza con gli insulti o con un uso non appropriato del linguaggio.
Abbiamo letto “le nostre donne sono state abusate”.
Noi rispondiamo: ricordatevi, non apparteniamo a nessuno se non a noi stesse.
Non siamo di nessun marito, di nessun padre o fratello, di nessuna religione, di nessuna nazionalità, siamo noi, siamo donne.
Le ragazze del blog Hollaback Italia scrivono: ” rivendicare il proprio spazio pubblico è d’obbligo per ricordare che le donne non sono terreno di speculazione razzista e politica, come sembra pensare chi dall’alto accusa “l’uomo nero” .
Come Gi.U.Li.A abbiamo aderito alla manifestazione di Colonia ricordando per prime a noi stesse che quell’uomo nero, noi lo conosciamo da tempo perchè vive nelle nostre case, cammina in mezzo a noi, gioca con i nostri figli, va in chiesa e soprattutto ha tanti colori.