I mafiosi non sono solo Messina Denaro, Riina o Provenzano. Soggetti collusi con la mafia, che utilizzano gli stessi metodi, sono ormai ovunque, sono nelle istituzioni pubbliche, nella società civile e siedono persino in Parlamento. L’espressione “Italia=Mafia”, purtroppo, sta diventando una realtà difficilmente contestabile. La nostra penisola è invasa da una mafia onnipresente che lucra, porta interessi, ha relazioni e complicità impensabili, progetta, pianifica e spesso occupa e gestisce i gangli vitali della società senza usare alcuna violenza ma utilizzando la sua arma più potente: il denaro. A questa mafia si affianca e s’innesta, imitandone i contenuti in tutto e per tutto la c.d. “mafia bianca” e cioè quella dei colletti bianchi, fortissima in tutte le amministrazioni dello Stato (Comuni, Province, Regioni, Università, Ospedali e così via).
Questa mafia – sempre esistita – nomina, elegge, assume, dirige e, di conseguenza, governa il territorio. Ecco perché il binomio “Italia-Mafia” non solo esiste, ma è una realtà constatabile nelle cronache quotidiane. La mafia è ovunque, inutile nasconderlo. Noi cerchiamo di non vederla ma siamo i primi a “sostenerla” accettandone spesso i suoi metodi. Oggi, la parola “mafia” è diventata sinonimo di corruzione, essa prolifera nella collusione, nelle contiguità, in quei contatti stretti con il cosiddetto “mondo dei colletti bianchi”, dell’imprenditoria, dei professionisti e soprattutto della politica. La mafia, ormai, non è più esibizione di violenza, non ci sono più le grandi stragi alla luce del sole, le bombe che fanno saltare in aria chi ad essa si oppone; lo spettacolo del terrore va in scena tutto dietro le quinte, si risolve agilmente all’interno di sistemi, strutture e organizzazioni lecite, esattamente come una metastasi silenziosa, impercettibile, incontrollabile. In Italia, abbiamo, ad esempio, la “mafia” dei baroni universitari, dove regnano incontrastate raccomandazioni, scambi di favori, meriti negati, titoli completamente ignorati. Come nella mafia comune anche in quella “bianca” regna la sacralità della “famiglia”, del corporativismo, del nepotismo, della raccomandazione, tutto a scapito delle capacità dei più bravi e della fatica degli onesti e dei volenterosi. Cos’è questa se non mafia? Non possiamo non denunciare la “mafia” della sanità, dove circola molto denaro pubblico, un gran numero di appalti e numerose nomine. Il terreno ideale dove mafia, politica e corruzione s’insinuano facilmente, mettendo radici profonde attraverso nomine e appalti pilotati, creando così enormi danni ai cittadini, aumentando, di fatto, le spese e diminuendo i servizi essenziali.
Cos’è questa se non mafia? Esiste poi la “mafia dei professionisti” (avvocati, magistrati, poliziotti, commercialisti, architetti, ingegneri, medici etc.…), pronta a mettere a disposizione le proprie conoscenze, per guadagnarci denaro o favori, aiutando la criminalità organizzata ad evadere il fisco, garantendo la latitanza e la cura dei boss mafiosi, aggiustando i processi, riciclando il denaro sporco, il tutto consentendo all’organizzazione criminale di crescere, moltiplicare la propria potenza economica e radicarsi fortemente nei territori. Non ultima, c’è la mafia degli imprenditori, fondamentale nella costruzione del potere delle mafie in Italia. Questi imprenditori, di fatto, collusi con le organizzazioni criminali, gestiscono gli appalti, il lavoro nero, i traffici di rifiuti tossici, l’immigrazione e qualsiasi attività in grado di creare profitto, finanziando lecitamente il sistema mafioso mediante grandi iniezioni di denaro pulito. Non di rado questa tipologia d’imprese gestisce, in nome e per conto delle mafie, l’occupazione e il voto di scambio. Cos’è questa se non mafia? La più pericolosa di tutte è la “mafia politica”, poiché contribuisce a sviluppare e a consolidare il potere mafioso, assicurandogli l’impunità, la legittimazione, il predominio, facendo funzionare le istituzioni in modo da accettare e favorire soggetti e attività direttamente o indirettamente collegati con i mafiosi, erogando denaro pubblico alle mafie e ai loro alleati, criminalizzando le istituzioni con l’uso di metodi e comportamenti puramente mafiosi. Questa mafia incide fortemente sulla democrazia, sulle libere elezioni, sulle nomine ai vertici dello Stato. Nel nostro Paese, ormai, si usa il metodo mafioso per esercitare qualsiasi forma di potere. Abbiamo troppo spesso esercitato un’antimafia predicatoria senza mai farla seguire da una pratica realmente combattiva ed efficace.
Questo stato di cose attendistico, o peggio immobilistico, contribuisce a rafforzare il dominio sul territorio, consolida il consenso sociale, potenzia le mafie economicamente nella società e soprattutto nell’ambiente politico e amministrativo, rendendole, di fatto, sostitutive dello Stato. Il breve quadro tracciato presenta molti elementi che ci inducono a pensare che siamo di fronte a una forma di potere in cui l’illegalità è rovesciata in legalità e questo va oltre la collusione di qualche politico con qualche boss o la commissione di uno o più reati da parte di singoli rappresentanti delle istituzioni. Stiamo vivendo uno dei periodi più difficili della storia dell’Italia repubblicana e se vogliamo sopravvivere, dobbiamo ricostruire le basi della democrazia e dello Stato di diritto. Per far questo, ognuno deve fare la sua parte e nessuno può sottrarsi ai suoi doveri di cittadino. Per quanto possibile, abbiamo assoluto bisogno di formare la nostra gioventù a essere libera, indipendente e consapevole sperando che ciò nel futuro ci porti a sconfiggere le tante mafie esistenti. Come diceva Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Non ci resta che agire e sperare.
*Giurista, direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise