E’ di questi giorni il grave caso di hate speech che ha visto come bersaglio Iacopo Melio, ragazzo toscano ideatore della campagna “vorrei prendere il treno”. Iacopo ha ricevuto insulti e minacce su Facebook a seguito di una critica a Salvini.
La violenza di questi messaggi viene veicolata attraverso l’arma della rete che ne amplifica la portata e li rende virali: una sorta di linciaggio mediatico. Il fatto di esporre l’altro al pubblico ludibrio fa diventare l’odio quasi una forma di intrattenimento.
La peculiarità dell’online è che “Rispetto ai tempi in cui i fanatici mandavano le lettere ai giornali (che i giornali spesso cestinavano) un tweet è subito pubblico, e renderlo noto sta alla sola responsabilità di chi lo scrive”, spiega Nicola Lagioia in un articolo pubblicato su Internazionale.
Con gli strumenti digitali cambia quindi l’equilibrio fra chi fa informazione e chi la riceve. Il pubblico non si limita a leggere le notizie, ma le condivide, le aggiorna e le implementa. I commenti ad un articolo diventano parte integrante di quest’ultimo. Un fenomeno nuovo che coinvolge a vari livelli il giornalista, i provider e il cittadino stresso. Emerge la necessità di studiare le molteplici sfaccettature dell’hate speech e arrivare a scrivere le nuove regole della cittadinanza digitale.
Molte sono le domande che nascono dall’osservazione dell’odio e altrettante le risposte che la società sta proponendo: dalla moderazione dei commenti, alle social media policy; dalla creazione di bot automatici per l’eliminazione di commenti razzisti, fino ad arrivare a mettere dei cartelli fuori dalle case degli haters, restituendo nella realtà la violenza subita nel mondo virtuale.
L’UNESCO, una delle Organizzazioni Internazionali che si sta occupando della problematica, punta tutto sui giovani come CHANGE AGENTS per contrastare l’hate speech online, e intende farlo attraverso l’empowerment degli users e l’educazione ai media. Promuovere, cioè, il senso critico e l’abilità di identificare e rispondere ai commenti di odio. Il messaggio non è proibire ai giovani di usare i social, quanto piuttosto renderli cittadini informati e responsabili, in modo tale da assicurare che internet rimanga un luogo potenzialmente positivo e un’opportunità per costruire una comunità della conoscenza basata sulla pace, diritti umani e sviluppo sostenibile.
In precedenza abbiamo visto uno storify introduttivo al tema hate speech, la declinazione del Racist hate speech, preponderante fra i discorsi d’odio, e la possibilità di inserire prospettive “altre” nei media mainstream, in modo da proporre una svolta culturale. Ci focalizziamo ora sui discorsi d’odio ONLINE. Grazie, come sempre alla nostra Iris Rossi… Continua su lsdi