Cade zittita una voce,
con essa cade a terra
il tuo nome, Egitto.
Rimangono solo corpi abbattuti e grida
nella piazza buia
sono le cinque
sono le cinque
sono le cinque
Il riscatto della libertà perduta muove ogni giorno la protesta in terra d’Egitto di migliaia di giovani contro l’oppressione del regime militare del generale Abdel Fattah al Sisi.
Una rivolta di parole, testimonianze, riflessioni tiene aperta la porta della speranza, oppone alla profonda barbarie che imbavaglia con il sangue giornalisti, ricercatori, poeti, scrittori un grido di libertà nudo e visibile ovunque, oltre la cortina di censura, oltre i confini di morte, oltre l’inquisizione che nutre l’orrore.
Più di 163 anime temibili, secondo il gruppo indipendente Horreya al Gaddaan, sono scomparse tra l’aprile e il giugno del 2015, e soltanto 64 di loro sono poi tornate libere.
Sovversivi da sequestrare, torturare, assassinare, come è successo a Giulio Regeni, colpevole di voler raccontare con volontaria sensibilità l’ombra di dolore sui diritti del lavoro operaio, scomparso nel giorno dell’anniversario della rivolta di Piazza Tahir e ritrovato senza vita in un fosso e con i segni delle torture, tracce indelebili del fallimento dell’umanità.
Uno sterminio di anonimi innocenti in un deserto di silenzio, ragazzi colpevoli di certificare la realtà che ai governi non interessa, “affari interni” nulla a confronto con le relazioni economiche da tutelare.
Giulio Regeni, la sua morte, testimonia una verità a cui è impossibile sottrarsi, ad ogni risveglio un pensatore libero in Egitto può essere arrestato, colpevole di idee, colpevoli di immagini, colpevoli d’amore, Shawkan” soprannome di Mahmoud Abou-Zeid, fotoreporter recluso nel carcere di massima sicurezza di Tora o Mahienour El-Massry, avvocata per i diritti umani, reclusa per aver organizzato manifestazioni pacifiche sono solo due dei respiri di libertà interrotti.