Prima ci hanno raccontato che era stato sequestrato e ucciso da un gruppo di malviventi. Poi hanno provato a dirottare l’attenzione sul possibile complotto ordito dai nemici di Al Sisi per screditare l’immagine del regime… Quindi ci hanno raccontato dello scontro all’interno degli apparati di sicurezza.
A giorni alterni hanno garantito piena collaborazione con le autorità italiane, ma nel frattempo hanno fatto sparire le registrazioni relative alle ultime ore di Giulio.
Non contenti hanno anche provato a puntare il dito sulle divisioni interne ai sindacati e sulle ire che avrebbe potuto scatenare la sua ricerca.
Alla fine è spuntata la pista privata, forse una questione sentimentale, magari, come si usava scrivere un tempo, “maturata nel torbido mondo del vizio..”
Le stesse identiche parole furono usate in Italia da chi voleva depistare ed infangare le indagini e la memoria dei Pippo Fava, di Peppino Impastato, di Don Diana, di Don Pino Puglisi, di Giancarlo Siani…
Questo è il metodo che ha sempre unito i regimi della corruzione e il mondo delle mafie del malaffare.
A questo punto, per usare la metafora pasoliniana, non occorrono neppure le prove, i mandanti e gli esecutori stanno nel “Palazzo” egiziano e per questo non dovrà essere concessa alcuna tregua politica sino a quando non sarà resa giustizia a Giulio Regeni, ai suoi familiari, ai suoi amici.
Il fiume di denaro che corre tra Italia ed Egitto non può travolgere gli ultimi argini a protezione dei diritti civili e del rispetto della dignità umana.