Di Alessandro Cardulli
Si racconta che fra i consiglieri di Renzi Matteo a Palazzo Chigi ce ne sia anche uno addetto a trovare le “belle parole” frasi ad effetto pronunciate ad uso e consumo dei media quando il premier si trova in difficoltà come in questo momento con la Borsa che va sempre più giù, profondo rosso, Milano perde il -3,9%, lo spread rialza la testa e supera quota 140. Le banche sprofondano e portano il Ftse Mib sotto 17mila punti, ai livelli dell’estate del 2013. Tra i singoli titoli male anche Fca, insieme a Saipem e alle Popolari. Forti ribassi anche per le altre Borse Ue: Londra cede il 2,3%, Francoforte il 2,9% e Parigi il 2,8%. Menzione speciale per la Borsa di Atene, che chiude in calo del 7,8%. Le cose non vanno meglio con Wall Street: il Dow Jones perde il 2%, lo S&P500 l’1,9%, il Nasdaq arretra del 2,5%. Da inizio anno, la Borsa americana ha perso 2 mila miliardi di dollari di capitalizzazione: il peggior avvio dal 2008. Può bastare? No, i conti con la Commissione Ue non tornano, c’è il rischio inflazione, la ripresa è talmente fragile che non si vede, il governo traballa, gli alleati fanno i capricci, qualcosa il Renzi, deve inventare, parlar d’altro, tanto troverà sempre uno scriba pronto a diffondere il “verbo”. Il nostro, meglio il loro, non vogliamo averci a che fare, ha qualche problema con l’Europa. Ha fatto la voce grossa e gli è stato risposto come si fa con un ragazzino un po’ discolo, “stai calmo”, o meglio per riprendere una sua classica espressione, “stai sereno”. Gli hanno detto così il presidente della Commissione europea, Juncker che dopo una sfuriata ha capito che non era il caso e gli ha dato appuntamento verso la fine di febbraio e poi a maggio per fare i conti. Anche il Commissario all’economia, Moscovici, ormai è abituato, le battutacce del ragazzo di Rignano non gli fanno né caldo né freddo. Ma lui, indomito, inventa sempre qualcosa di nuovo. A raffica si rivolge ai partiti del socialismo europeo, fa lo spaccone, telefona al premier francese, facciamo fuori la Merkel, noi di sinistra insieme, vi convoco, io sono il premier più votato, chiamiamo anche Tsipras, così l’Europa non può andare, torniamo al “Manifesto di Ventotene”, facciamo una bella confederazione. Qualcuno doveva dirgli che Spinelli, Rossi, Ursula Hirschmann, Colorni poi, pensavano ad una Europa “federata”. Altra cosa. Ancora: “Non è possibile – dice riferendosi a quelli di Bruxelles – continuare con la tecnocrazia di persone che non sanno più dove sta la vera relazione con la gente”. Discorso sgangherato pronunciato ai giovani che, per qualche giorno frequentano la scuola di formazione politica del Pd che gli scriba ignoranti chiamano la “nuova Fattocchie” che, se fosse una persona, si rivolterebbe nella tomba. Renzi fa presente ai giovani che più che alla “cultura politica” pensano ad un posticino in qualche ente, che la Ue deve cambiare politica, la crescita come obiettivo, siamo o non siamo di sinistra, magari centro sinistra? Sì è vero, le politiche della Ue sono di marca liberista, portano il segno della conservazione, pagano i ceti più deboli, le imprese sono l’ombelico del mondo. Ma le politiche dal suo governo praticate si muovono nello stesso senso. Ma che vuol dire. Matteo Renzi, intervenendo stamattina alla cerimonia di apertura di “Mantova capitale italiana della cultura 2016” al teatro Bibiena, ha fatto cenno alla situazione in Europa: “Nessuno di noi fa le bizze ai tavoli europei. Noi non chiediamo all’Europa qualcosa in più, ma pensiamo che l’interesse nazionale non sia una parolaccia. Io non penso che per essere credibile in Europa bisogna sempre dire di sì”. Ancora: “L’interesse nazionale trova naturale corrispondenza nel sogno europeo, oggi è arrivato il momento di costruire l’Europa dei figli”. Spiega che chi sostiene che il problema dell’Europa sia Schengen – e che quindi chiede la chiusura delle frontiere – “non solo fa un passo indietro, ma tradisce l’idea di Europa”.
Matteo dall’Italia “laboratorio della speranza” alle primarie per il presidente della Ue
Non basta. A Mantova offre il meglio di sé: “Noi non ci rassegniamo a vivere nella paura, non rinunciamo a gustare e tutelare la bellezza. Il ruolo dell’Italia oggi è quello di affermare una risposta possibile alla crisi che il nostro tempo sta vivendo. Non siamo solo un museo della memoria, ma un laboratorio della speranza”. Bene, bravo, bis, questo “laboratorio della speranza” ci manda in brodo di giuggiole. Chi glielo ha suggerito merita un premio. Ma lui rovina tutto, dal lirismo passa alle cose terrene e propone che il presidente della Commissione europea venga eletto con le primarie, magari pensa anche all’arrivo di un po’ di cinesi, non si sa mai. Per carità può essere un’idea ma deve ricordare che Bruxelles non è Milano. Anche perché mentre lui si trastulla c’è chi fa sul serio. Nell’attesa degli incontri fra Renzi e i leader “socialisti”, “socialdemocratici” e “democratici”, i banchieri centrali di Francia e Germania, con un atto inusuale, scrivono un articolo per il quotidiano tedesco «Sueddeutsche Zeitung» dal titolo «Europe at a crossroads» (L’Europa a un bivio).
Banchieri tedesco e francese sollecitano la nomina di un ministro unico delle Finanze
Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e Francois Villeroy de Galhau della Banca centrale francese affermano che la Banca centrale europea non è nelle condizioni di creare una crescita a lungo termine per i Paesi dell’Ue. L’eurozona ha bisogno di un’accelerazione sulle riforme strutturali e un ministro delle Finanze della zona Euro, un ministro unico, per ottenere quella crescita sostenibile ancora lontana. In particolare affrontano il problema del ruolo della Bce alla cui guida c’è un italiano, Mario Draghi: “La Bce – scrivono – non ha raggiunto l’obiettivo di inflazione al 2% per tre anni consecutivi ed è molto improbabile che ci riesca ora con il crollo del prezzo del petrolio, la crescita economica poco brillante e i salari fermi. Anche se con la sua politica monetaria ha fatto molto per la zona euro, non può creare una crescita economica sostenibile”. Del ministro delle Finanze europeo se n’era per la prima volta parlato nel 1989, poi nel 2011 il problema dell’unione fiscale era tornato alla ribalta, un coordinamento politico della crisi economica dopo centinaia di miliardi di euro spesi per salvare Paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo. “Un’integrazione più forte – affermano i due banchieri – potrebbe ripristinare la fiducia nella zona euro, favorendo lo sviluppo di strategie comuni e una crescita costante”. A luglio dell’anno passato era stato un membro del Comitato esecutivo della Bce, Benoît Cœuré, a riprendere l’argomento. “Così l’Ue – aveva detto al quotidiano Le Monde – non funziona bene, tutti pensano solo ai propri interessi e non a quelli comuni” definendo “inadeguato il meccanismo decisionale che governa la zona Euro, basato su un principio intergovernativo che non è più appropriato”. Mario Draghi ha posto più volte l’esigenza di un ministro del Tesoro unico che rappresenti i 19 paesi dell’eurozona che adottano l’euro e non tutti i 28 della Ue.
Anche Draghi chiede un interlocutore politico per la Bce. Ma il capo del governo tace
Forse non è un caso che proprio nell’editoriale di domenica, Eugenio Scalfari scrive: “La proposta essenziale e vorrei dire rivoluzionaria Draghi l’ha detta a Francoforte: ritiene indispensabile e quindi vuole la creazione di un ministero del Tesoro unico, che sia l’interlocutore politico della Bce da lui guidata”. L’articolo ha un titolo eloquente, viste le recenti “derive” nazionaliste del nostro premier: “Ma Renzi vuole un ministro del Tesoro europeo?”, che significa una cessione di sovranità da parte di ciascuno dei 19 paesi, sapendo che in una Europa federata la Germania sarà, sottolinea Scalfari, ancora la nazione di maggior rilievo. Una volta – prosegue l’editoriale – “il nostro ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, si disse favorevole alla proposta di Draghi. Renzi non ne parlò. Che cosa dicono ora, Padoan è sempre d’accordo? E Renzi?”. Eppure proprio nei prossimi giorni, 11 e 12 di questo mese, si riuniscono Eurogruppo e Ecofin, i ministri delle Finanze potrebbero essere interessati. Per ora a questi interrogativi non ci sono risposte. Renzi ha in mente solo una cosa, la flessibilità, uno zero virgola due per iniziare, in modo da trovare i soldi per i provvedimenti annunciati per il 2017, a pioggia, un po’ qua un po’ là, come ai tempi della vecchia Dc. Per di più con qualche venatura di “grandeur” per far concorrenza alla Francia. Tutto il contrario di ciò su cui meriterebbe dare battaglia in Europa per un processo di cambiamento, un progetto che, davvero, richiami il “Manifesto” degli antifascisti di Ventotene.