Chiamiamola “corruzione bianca”, cioè legale, ma letale. E’ il finanziamento della campagna elettorale fornito al politico rampante da parte dell’affarista senza scrupoli, per incassare – una volta assicurata la sua ascesa al potere – una redditizia riconoscenza.
Il meccanismo è sempre lo stesso. Sia che si tratti dell’ultimo caso di Lady Dentiera (Paola Canegrati) per l’elezione del leghista Rizzi a Milano, che di mafia Capitale per Alemanno a Roma. La “corruzione bianca” non ha confini ed è protetta da una parola magica: privacy. Infatti, ancora manca una norma che imponga ai partiti di dichiarare da chi ricevono contributi. E perfino se chiedi i nomi della famosa cena di Renzi di autofinanziamento, ti sbattono in faccia sempre la stessa porta della privacy.
Ormai è chiaro che è sul finanziamento elettorale che si devono accendere i riflettori. In modo che i maggiori contribuenti siano individuati alla luce del sole e sorvegliati nei loro “contatti” economici con l’istituzione nella quale si sia inserito il loro sponsorizzato. Guardando ben anche nelle fondazioni personali, ormai diventate strumenti di procacciamento fondi per molti politici.
E la politica come si difende da questa richiesta di trasparenza? Traccheggia, perché vorrebbe continuare a garantire l’anonimato ai propri finanziatori, ma non può dirlo apertamente. Allora procede concedendo risposte formali e blocchi effettivi. Tradotto: fa la legge sulla trasparenza dei finanziamenti, ma poi non produce il decreto attuativo con le istruzioni per l’uso.
E così la “corruzione bianca” infiltra la politica senza essere tracciata.
Nell’indifferenza generale. Fino al prossimo scandalo.
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