Le bombe, si sa, non discriminano nessuno. E così, ancora una volta, non sono stati colpiti solo civili inermi, ma anche operatori umanitari con un’unica mission: aiutare le vittime della guerra.
Nei giorni scorsi, per la terza volta in pochi mesi, un ospedale supportato da Medici senza frontiere è stato bombardato. Dopo l’Afghanistan, il nord dello Yemen: Shiara nel distretto di Razeh.
Almeno quattro morti e dieci feriti, di cui tre dell’equipe di MSF in condizioni critiche, e il crollo di diversi edifici della struttura medica il tragico bilancio.
Un attacco inaccettabile, come ha riconosciuto anche l’Alto commissario per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Federica Mogherini, che in una dichiarazione congiunta con il commissario europeo per la gestione degli aiuti umanitari, Christos Stylianides, ha ribadito il sostegno da parte dell’Ue all’organizzazione umanitaria e alle famiglie colpite dalla crisi in Yemen, assicurando il massimo dell’impegno per una soluzione politica alla crisi.
Questo tragico ‘incidente’ è l’ultimo di una serie di attacchi contro strutture e personale medico nel Paese dall’inizio del conflitto. Attacchi, vili, indegni che prendono di mira le operazioni umanitarie e i civili. Azioni che in teoria sono ‘vietate’ dal diritto internazionale umanitario.
Più volte da Onu e Ue è stato chiesto alle parti in conflitto di astenersi dal prendere deliberatamente di mira le infrastrutture civili. Ma il disprezzo per il diritto umanitario è stato manifestato palesemente, “ostacolando gli sforzi volti a portare una soluzione politica alla crisi” come scrivono in una nota i vertici europei ribadendo che di fronte a una situazione umanitaria “senza precedenti”, la Commissione europea “continuerà a fornire sostegno umanitario a tutte le popolazioni colpite dal conflitto in Yemen”.
Ufficialmente non sono ancora state attribuite responsabilità ma, anche se MSF non può confermare, sono stati visti degli aeri volare sulla struttura poco prima che venisse colpita e un missile è caduto vicino all’ospedale.
Tutte le parti in conflitto, inclusa la coalizione guidata dall’Arabia Saudita intervenuta a supporto del governo yemenita, sono informate delle coordinate GPS delle strutture mediche dove opera Medici senza frontiere.
“Abbiamo un dialogo costante con il comando delle operazioni militari – afferma Raquel Ayora, direttore delle operazioni di Msf in Yemen – affinché comprendano l’entità delle conseguenze umanitarie del conflitto e la necessità di rispettare la fornitura di servizi medici. E’ impossibile che qualcuno con la capacità di sferrare un attacco aereo o lanciare un missile non sapesse che l’ospedale di Shiara fosse una struttura medica funzionante sostenuta da MSF e che forniva un servizio sanitario fondamentale”.
Il conflitto è particolarmente acceso nel distretto di Razeh.
La popolazione dell’area è stata pesantemente colpita dai continui bombardamenti e dal peso di dieci mesi di guerra.
L’ospedale di Shiara era già stato colpito prima che MSF iniziasse a supportarlo e i servizi erano ridotti alle emergenze, alla maternità e alle attività salvavita.
Come scrivevo all’inizio, quello delle scorse ore è stato il terzo pesante attacco a una struttura medica di MSF negli ultimi tre mesi.
Il 27 ottobre l’ospedale di Haydan era stato distrutto da un bombardamento aereo ad opera della coalizione guidata dall’Arabia Saudita (SLC) e il 3 dicembre era stato colpito, sempre dalle forze della coalizione ferendo 9 persone, il centro di salute a Taiz.
L’ultimo episodio a Shiara conferma quanto denuncia da tempo l’organizzazione: siamo di fronte a un preoccupante disegno che mira a colpire strutture mediche essenziali.
Azioni che lasciano una popolazione già fragile senza assistenza medica per settimane, per le quali non basta esprimere sdegno ma bisogna condannare fermamente.
Per questo Articolo 21 rilancia e fa proprio l’appello di Msf che chiede l’immediata cessazione degli attacchi agli ospedali e invita tutte le parti coinvolte nel conflitto a impegnarsi per creare le condizioni per la fornitura di assistenza umanitaria in condizioni di sicurezza.
Nell’attesa che i responsabili dell’attacco vengano individuati e puniti come previsto dal diritto umanitario.