Violenza sulle donne rifugiate. Per fermarla necessario l’impegno dei singoli stati

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Il nuovo rapporto congiunto di Unhcr, Unfpa e Wrc denuncia i rischi di violenza sessuale e di genere a cui sono esposte le donne rifugiate in viaggio verso (e attravero) l’Europa

Oumo è una giovane sub-sahariana in fuga dalle persecuzioni che hanno causato la morte di suo cognato e la scomparsa di sua sorella. In Europa spera di trovare protezione. Per riuscire ad arrivare in Grecia è stata costretta a prostituirsi due volte: in cambio di un posto su un’imbarcazione e di un passaporto falso. Spiega di non aver avuto scelta. Giunta su un’isola ellenica, dorme da due notti all’aperto, senza riparo, privacy o assistenza e non è stata ancora registrata: «Ho paura che finirò per impazzire».

La storia di Oumo (nome di fantasia) non rappresenta, purtroppo, un’eccezione. «Molte donne e ragazze che viaggiano sole, senza la protezione della loro famiglia e comunità, sono totalmente indifese – afferma Vincent Cochetel, direttore dell’Ufficio europeo dell’Unhcr – Ma anche le donne che viaggiano con la famiglia sono vulnerabili ad abusi. Spesso non denunciano i crimini e per questo non ricevono il sostegno di cui avrebbero bisogno». È frequente il caso di donne obbligate a prostituirsi per “pagare” i documenti o il viaggio stesso e alcune, pur di proseguire in fretta, preferiscono non denunciare le violenze subite o rifiutano l’assistenza medica. Allo stesso modo accade spesso che donne incinte, per non rallentare, partoriscano in autonomia lungo la rotta o abbandonino la struttura sanitaria ospitante a poche ore dalla nascita insieme al neonato.

A novembre 2015 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, insieme al Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione e alla Commissione per le Donne Rifugiate, hanno condotto una ricerca sul campo rispetto ai possibili rischi a cui sono esposte donne e ragazze rifugiate e migranti in Grecia e nell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. Tra le persone maggiormente esposte ad abusi, come è emerso dall’indagine, le donne che viaggiano sole o con bambini, incinte o che allattano, le adolescenti, le bambine non accompagnate o vittime di matrimoni precoci, le persone con disabilità e gli anziani. L’elevato rischio affrontato da tutte queste persone durante il viaggio – presente nei paesi di transito extra-europei e in quelli di primo asilo, ma anche in Europa – rende necessaria la creazione di una risposta di protezione coordinata che preveda misure preventive e l’offerta di assistenza legale e sostegno psicologico specifici.

«La salute e i diritti delle vittime di guerre e persecuzioni, specialmente donne e giovani adolescenti, non dovrebbero essere considerati nelle risposte umanitarie come l’ultima preoccupazione», dichiara Babatunde Osotimehin, direttore dell’Unfpa.

In aumento le donne e i minori in arrivo

Con l’inizio del 2016 è stato registrato un aumento delle donne e dei bambini tra i richiedenti asilo arrivati in Europa: circa il 55%, mentre a giugno 2015 rappresentavano il 27%. Con le restrizioni e i controlli imposti dai singoli governi ai confini, le strutture di accoglienza e di transito potrebbero diventare ancora più sovraffollate, accrescendo il rischio che donne e bambine subiscano abusi come già accaduto in passato.

Sono molte, infatti, le strutture che ancora non garantiscono servizi igienici e dormitori privati e separati per donne e bambini.

«Poiché le strutture di accoglienza in Europa non erano attrezzate per prevenire e rispondere alla violenza sessuale e di genere, la risposta umanitaria non è stata in grado di offrire alle donne e alle bambine la protezione che meritano e di cui hanno bisogno – ribadisce Sarah Costa, direttrice della Commissione per le Donne Rifugiate – Dobbiamo impegnarci in interventi che sappiamo potranno essere utili, come l’impiego di esperti di violenza di genere lungo le rotte». Un impegno che, tuttavia, non può ricadere solo sulle organizzazioni internazionali e umanitarie o sulle associazioni della società civile che prestano assistenza: “La capacità di prevenire, identificare e rispondere adeguatamente, dipende principalmente dai singoli Stati e dalle agenzie dell’Unione Europea – scrivono Unhcr, Unfpa e Wrc in un comunicato congiunto – che devono assumersi queste responsabilità e adottare i provvedimenti necessari.

Da cartadiroma


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