Al netto delle speculazioni dei giornali berlusconiani, la vicenda del varietà di Capodanno su Rai 1 non può essere archiviata in modo pittoresco.
Quello che è accaduto è l’immagine esatta del livello attuale del servizio pubblico televisivo ed è un livello al quale si è giunti non in modo casuale, ma sulla base di uno sciagurato percorso gestionale che va avanti da almeno cinque anni.
Se la più importante rete televisiva italiana non è più in grado di allineare il suo orologio per la mezzanotte dell’anno nuovo e se nessuno è in grado di controllare i testi degli SMS che scorrono sul video, allora vuol dire che non è un evento sfortunato, ma è il risultato di un progressivo deterioramento della qualità di chi lavora alla Rai. Del resto, i disguidi tecnici che gli spettatori vedono ogni giorno, oppure il livello ridicolo dei meta dati che accompagnano i programmi, bastano da soli a spiegare il disastro.
Le chiacchiere stanno a zero, e ha torto chi pensa che questi siano solo dettagli: questi sono i danni – forse irreparabili – scaturiti da politiche gestionali insensate, quelle dei direttori generali che hanno imposto solo i tagli lineari e che neppure sapevano che cosa veniva trasmesso, a parte i talk politici, per evidenti motivi!
Tagli lineari economici, fatti in modo indiscriminato e senza mai scegliere davvero su cosa investire e anche su cosa disinvestire, e tagli lineari del personale, imposti spesso a forza anche ai professionisti delle risorse umane, basati soltanto sul numero di dipendenti da ridurre e mai sulla scelta di preservare la presenza di professionisti di qualità. Assunzioni basate solo su bacini di precari storici e sulle scelte di esterni segnalati dalla politica e dai tanti, tantissimi poteri forti di ogni razza e colore. Assenza totale di formazione all’interno dell’azienda, che potrebbe utilizzare al meglio anche le professionalità storiche del mondo televisivo per far crescere nuove generazioni di autori ma anche di tutte le altre molteplici figure indispensabili per una grande azienda di media, la mitica media company tanto evocata e mai realizzata.
Nulla di tutto questo. Moltissimi funzionari indispensabili per la gestione complessiva del palinsesto sono stati accompagnati alla porta, pensando che tutto fosse sostituibile con una manciata di software a basso costo. La digitalizzazione delle strutture, oltre ad andare a rilento, non è basata sull’offerta di una reale interattività: non c’è ancora una personalizzazione dei telegiornali attraverso dei menù gestibili dall’utente, è scarsissimo l’utilizzo dei filmati in streaming del web, non ci sono rimandi concreti fra il web Rai e le produzioni televisive, ma – ed ecco la conferma del basso livello – si usa ancora il sistema di mandare gli SMS in diretta sul video, come nel caso della sera del 31 dicembre. E’ un sistema ormai adatto alle televisioni locali, ma la Rai continua a farlo per i 51 centesimi a messaggio che ci guadagna…e non allestisce nemmeno un vero sistema di controllori di questi testi nell’atto di immissione sulla rete di messa in onda! Con esempi concreti e quotidiani di questo tipo si potrebbe scrivere una enciclopedia.
Il nuovo gruppo dirigente ha l’ultima possibilità di rimettere in sesto questa situazione, potrebbe averla, anche in presenza di una governance che riporta la Rai a 40 anni indietro, prima della riforma entrata in vigore nel marzo 1976 (a proposito, chissà se i TG festeggeranno l’anniversario questa volta….). Il nuovo AD potrebbe scegliere i migliori come direttori, a prescindere dalle pressioni esterne, potrebbe fare di nuovo formazione all’interno e mettere anche in questo caso i migliori nei posti giusti, potrebbe, insomma, rimettere la Rai in mano a quelli bravi! Altrimenti, purtroppo, la corda già a lungo tirata si spezzerà definitivamente e il già evidente livello di sciatteria e bassa qualità diventerà assolutamente insopportabile.