(Traduzione Elisa Marincola) – Giusto un anno fa, la nostra professione è stata colpita nel corpo e nell’anima. A Parigi, nella redazione del periodico satirico Charlie Hebdo. Dieci persone sono state abbattute freddamente proprio perché erano giornalisti o impiegati di un mezzo d’informazione. Questi assassinii hanno avuto una tale eco che tantissimi cittadini in tutto il mondo si sono mobilitati, istintivamente, per dire “No”.
Quel mercoledì 7 gennaio, la Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ), che rappresenta 600.000 giornalisti di 139 paesi, era a Parigi accanto ai suoi affiliati francesi, il SNJ, il SNJ-CGT e la CFDT, per sostenere i colleghi. E il giorno dopo, insieme all’intero corpo professionale, è stato organizzato un momento di mobilitazione davanti alla redazione in lutto, in rue Nicolas-Appert ; infine, la domenica 11, l’intera famiglia del giornalismo prese parte al corteo della grande marcia repubblicana, insieme all’allora segretario generale dell’italiana Fnsi, Franco Siddi.
Nel ventunesimo secolo, è difficile immaginare che si possa uccidere per un simile motivo. La libertà d’espressione in Francia ha gli stessi limiti che in numerosi paesi del mondo : un giornalista è un cittadino al pari di chiunque altro e deve rispettare la legge sulla stampa, in particolare in termini di diffamazione e ingiurie.
In Francia, come altrove, nessuno può permettersi di confondere la libertà d’espressione con la libertà editoriale. Nessuno è obbligato a comprare o leggere Charlie Hebdo o qualunque altra testata, ma ognuno deve rispettare il diritto dell’altro ad esprimersi. Un giornale satirico, per definizione, è tutt’altro che un organo di consenso e Charlie Hebdo ha improntato la sua linea editoriale sul rifiuto di tutti i fanatismi e oscurantismi. Qualunque siano i simboli o i colori politici. Un anno dopo, il dolore è ancora forte. La redazione è stata decimata, alcuni sono andati altrove, altri sono arrivati e danno energie nuove ai “sopravvissuti”. Charlie Hebdo continuerà a fare Charlie Hebdo, senza autocensurarsi. Il contrario sarebbe un controsenso per la libertà d’espressione, di cui, loro malgrado, essi stessi sono divenuti i porta bandiera.
* Segretario Generale della Federazione Internazionale dei Giornalisti
DA SAPERE : 2200 giornalisti sono morti in 25 anni!
I numeri sono agghiaccianti. Dal 1990, data del primo report di IFJ in tema di giornalisti assassinati, 2200 colleghe e colleghi sono stati uccisi in quanto giornalisti, perché si erano permessi di “dire la verità”, come scrisse Albert Camus nel 1944. Per la IFJ, prima organizzazione mondiale dei giornalisti, questa litania è diventata intollerabile. Ancora nel 2015, la IFJ ha denunciato 112 morti, di cui 11 in Francia (10 a Charlie Hebdo), 10 in Yemen e altrettanti in Iraq ! Da anni la IFJ si mobilita presso l’Onu, dove rappresenta i giornalisti di tutto il mondo, perché si svolgano inchieste, siano giudicati gli assassini di giornalisti e condannati i mandanti. Tutti gli anni, tra il 2 e il 23 Novembre, la IFJ con i suoi 180 organismi affiliati lancia una grande campagna globale “contro l’impunità”, per attirare l’attenzione dei governi che si rifiutano di collaborare quando un giornalista viene ucciso. Si tratta di madri e padri di famiglia, figli, nipoti, di cui si deve onorare la memoria.
E’ vero, non è un compito facile. Ma la responsabilità dei politici deve accompagnarsi al coraggio dei governi. L’Onu stessa è dotata di tutto l’armamentario legislativo: ben due risoluzioni a questo rivolte sono state approvate nel 2006 e nel 2013. “Basterebbe” quindi farle applicare ovunque. #EndImpunity A.B.