Un anno dopo le stragi di Parigi al settimanale satirico Charlie Hebdo e all’HyperCasher con 16 morti, la Francia è meno sicura di prima. La furia fondamentalista, appena 10 mesi dopo, ha alzato il tono della sua strategia sanguinaria, massacrando altre 130 persone e ferendone 352, in gran parte mutilate per sempre. La Francia è anche meno libera per uno stato d’emergenza perenne, con controlli invasivi sulle comunicazioni via Internet e progetti di leggi voluti dal Presidente socialista Hollande che contengono, tra l’altro: la revoca della doppia cittadinanza; la facoltà dei prefetti di far effettuare perquisizioni notturne, senza l’autorizzazione dei magistrati; la polizia potrà fermare e perquisire bagagli, auto, controllare l’identità di chiunque possa essere “sospettato” e fermarlo per quattro ore, interrogandolo senza avvocato; le forze dell’ordine potranno sparare, anche oltre la “legittima difesa”, basta solo il sospetto che qualcuno stia per compiere un atto criminale. Durante la sua campagna per le presidenziali, Hollande si era battuto contro queste misure, definite “liberticide”, che invece la destra estrema della Le Pen propugnava a gran voce e l’ex-presidente Sarkozy, se rieletto, si proponeva di promulgare.
Cosa è cambiato da un anno a questa parte? Non solo gli orientamenti dell’opinione pubblica, martellata dalle stragi, dagli annunci sanguinari del Daesh e dai grandi mezzi di comunicazione, che intensificano la loro campagna di “terrorismo mediatico”, instillando nelle coscienze la paura e il senso di isolamento, mettendo in secondo piano i fallimenti della politica governativa per tentare di risanare la crisi economica. Si è modificato lo scenario internazionale e sociale: il fenomeno di radicalizzazione islamica ha attecchito nelle fasce emarginate della popolazione musulmana in Europa e in Oriente, ampliandone le complicità e incrementando i seguaci, che a migliaia si sono “arruolati” nell’esercito dell’ISIS. Si è stravolta l’essenza stessa, i principi laici e liberali, che sono alle fondamenta della costituzione dell’Unione Europea, mettendo anche a rischio il concetto di libera circolazione, riducendo drasticamente il Trattato di Shengen.
Dopo la strage a Charlie Hebdo, si riversarono spontaneamente per le strade di Parigi, di tutta la Francia, in gran parte d’Europa e nel mondo milioni e milioni di persone per testimoniare la solidarietà con le vittime e a difesa di tutte le libertà, a partire da quelle d’opinione e stampa. Dopo le stragi e la mattanza al teatro Bataclan del 13 Novembre scorso, a Parigi, sono state invece vietate le manifestazioni. Solo colonne di persone in mesto pellegrinaggio sui luoghi della tragedia per commemorare i morti con fiori, lettere, foto, disegni, peluche, lumini. Una teoria di gente comune che ha testimoniato in silenzio e come fosse un lutto personale un evento che invece era pubblico, di portata mondiale, che avrebbe avuto bisogno di altre manifestazioni di orgoglio democratico collettivo. Non bastano le attestazioni di cordoglio ufficiali dei governanti e di quanti si sono identificati di volta in volta con gli slogan “Je suis Charlie” e “Nous sommes tous parisiens”, per rafforzare lo spirito fiaccato delle popolazioni. Le svolte politiche reazionarie e xenofobe che si stanno affermando in molti paesi dell’Unione sono la meccanica conseguenza degli attacchi terroristici. I partiti della “sinistra storica” non riescono a proporre modelli e leggi se non liberticide, la censura compie i suoi passi da gigante un po’ dovunque, i servizi pubblici radiotelevisivi vengono riportati sotto il controllo asfissiante degli esecutivi.
Solo dove è più sentita l’emergenza economica e dove la presenza islamica è minore, come in Portogallo, Grecia e Spagna, si sono affermati movimenti e partiti di una “nuova sinistra”, che parla e agisce con strategie nuove. Nel resto d’Europa si respira un’aria di restaurazione, di limitazione dei diritti fondamentali in nome di una lotta al terrorismo fondamentalista, che però dalle prime stragi di Parigi, non ha prodotto nessun risultato efficace; anzi, sono aumentate le falle nei sistemi di controllo e informazione; le polizie e i servizi segreti dell’Unione continuano a sospettarsi vicendevolmente. Nelle maglie larghe dell’antiterrorismo sono fuggite decine e decine di sospettati. I morti sono aumentati. La paura e la xenofobia si sono estese anche alle fasce sociali più sensibili e illuminate.
La lotta al terrorismo del Daesh si sta trasformando in un braccio di ferro tra nazioni frontaliere: la Turchia contro la Russia, la Siria contro l’Arabia Saudita, questa contro lo Yemen, i paesi petroliferi del Golfo contro il nuovo gigante regionale, quell’Iran sciita che prima alimentava il terrorismo jihadista antiisraeliano ed oggi si trova a fare i conti con la “Santa alleanza” sunnita, capitanata proprio dai sauditi e spalleggiata dalla Turchia, a sua volta in guerra anche contro i Curdi e l’Iraq.
Il vaso di Pandora si è ormai rotto e gran parte di questa colpa ricade sulle potenze occidentali, in primis nella politica scellerata, dei “due forni”, sia dell’amministrazione democratica di Obama, sia di quella precedente repubblicana del “guerrafondaio” Bush junior. Entrambi non hanno mai “rotto” con l’ambigua regia finanziaria e politico-regionale della corte sunnita di Riad. Anche perché gran parte dei Treasury bonds degli Stati Uniti sono proprio in mano a re, principi e califfi del Golfo. Il potere di ricatto energetico e finanziario detenuto dai sunniti del Golfo è enorme e devastante. E così gli Stati Uniti sembrano per la prima volta annaspare anche nell’arte nella quale primeggiano dalla Seconda guerra mondiale in poi: lo spionaggio e il controspionaggio. Oggi sembrano invece dei mici sordi e ciechi, nonostante il più grande apparato di controllo delle comunicazioni, il SIGINT, nato dall’accordo tra i “Cinque occhi”, stretto tra i cinque stati anglofoni, riuniti grazie alla tecnologia del superveloce sistema di intercettazioni Echelon, che dipende dall’UKUSA Agreement : Australia (Defence Signals Directorate), Canada (Communications Security Establishment), Nuova Zelanda (Government Communications Security Bureau), Gran Bretagna (Government Communications Headquarters, GCHQ), Stati Uniti (National Security Agency NSA).
La potenza di fuoco impressionante di questa Super Intelligence mondiale è sembrata annaspare contro il sistema quasi amatoriale di comunicazioni telematiche usate dai terroristi del Daesh, che hanno seminato morti e terrore in Europa e nel Medio Oriente.
Un anno dopo la strage a Charlie, il settimanale satirico colpisce ancora nell’immaginario collettivo e agita le coscienze dei benpensanti e delle élite conservatrici e tradizionaliste, rappresentando in copertina stavolta un Dio che fugge con un kalashnikov a tracolla. Nessuno sa dove si cela né dove colpirà di nuovo. Ma si capisce che il richiamo ad un generico Dio “vendicativo” e sanguinario è solo una copertura ideologica di quel mondo arabo islamico che deve ancora fare i conti col proprio passato, con le divisioni dottrinali tra sunniti e sciiti, con gli interessi finanziari ed energetici che hanno sempre mosso le loro azioni nel sottobosco del Big Game, del potere “assoluto”.
Charlie e suoi giornalisti/vignettisti ci hanno testimoniato con il loro sacrificio e con l’impegno artistico, che li contraddistingue tuttora, che un pericolo del genere si può sconfiggere con la difesa dei diritti e delle libertà, della separazione dei poteri, della laicità dello stato e del rispetto della privacy, di qualsiasi fede religiosa, credo politico e comportamento sociale, dell’affermazione della laicità dello stato e del rispetto della privacy. E che grazie alla satira irriverente, una “risata vi seppellirà”: specie tutti quelli che usano il potere con la violenza e il terrorismo.