Negli USA le elezioni più pazze di sempre, dice a Lucia Annunziata -che la intervista per Repubblica- Arianna Huffington. “Trump ha la possibilità di diventare presidente per il fallimento dell’intero establishment che non ha capito le paure e le ansie di milioni di americani. Quando Obama e altri dicono che l’economia va bene stanno sottostimando la realtà: la produttività è alta, ma i salari sono rimasti bassi e la gente è molto provata, anche psicologicamente”. Sanders e Trump -chiede l’Annunziata- sono due facce di un identico estremismo? “Completamente sbagliato -risponde Arianna- Chi fa questa lettura annacqua il pericolo Trump. Sanders parla ai giovani, ai Millennials (i giovani nati intorno al passaggio di millennio) che chiedono un paese più equo, meno diviso. Negli USA c’è ancora forte l’idea che Wall Street non abbia ancora pagato per la distruzione di case e pensioni di milioni di americani. Come è accaduto con l’elezione di Corbyn in Gran Bretagna, anche negli USA i Millennials sono la forza maggiore del settantenne Sanders, una sorta di riconciliazione tra nonni e nipoti. Infine Sanders è percepito come una persona autentica e Hilary no. La ricerca di autenticità dei Millennials è la loro caratteristica peculiare, tocca i consumi, i rapporti, i social media, tutto”. Scrivo queste cose da tempo, tra i lazzi degli “esperti” nostrani.
Banche, boccata d’ossigeno, scrive la Stampa: “c’è accordo con l’Europa”. Pare che Padoan abbia spuntato un’intesa per ristrutturare tutte le popolari, accorpandole e costruendo una rete di protezione pubblica per le loro sofferenze. Bene: ci mancava solo un caso Banca Etruria moltiplicato per 100. Naturalmente si dovrà attendere per capire che tipo di accordo, quanto solido, pagato da chi. Venerdì Renzi sarà a Berlino con la Merkel. Incontro ben preparato dagli sherpa tedeschi e che non dovrebbe lasciare spazio a imprevisti: Germania e Italia unite, le effervescenze del rottamatore dimenticate. Ma dai dettagli forse capiremo quale sia il tono di fondo, l’umore di un Europa a prevalenza germanica che ripiega su Shengen, si prepara a sequestrare -in Danimarca- i beni dei profughi per pagarsi le spese, deve fare i conti con le liberalizzazioni selvagge -rivolta contro Uber in Francia-, non sa che dire a quelle nazioni -la Catalana- che chiedono di staccarsi dallo stato nazione -spagnolo- pur restando in Europa, un’Europa che torna a chiedersi se non sia meglio cacciare la Grecia che non può risanarsi -per colpa della ricetta europea- né far da barriera, sola, ai migranti.
Salvini salva Boschi e Renzi, scrive il Fatto “ed entra nella maggioranza”. Renzi potrebbe rispondere ai suoi critici -dice Sabatucci sulla Stampa- come fece De Petris: “Se qualcuno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?”. Naturalmente -osserva il commentatore- la politica, trasformista, di De Petris “mirava a stabilizzare il sistema in chiave moderata…i moderati non divennero progressisti, si accentuò semmai il processo inverso… e il sistema, imperniato su un’unica grande maggioranza, si bloccò, negandosi ogni possibilità di ricambio fisiologico”. Credo di aver evocato De Petris e il suo trasformismo due anni fa, al tempo della (forse allora) resistibile ascesa di Matteo Renzi. Ora in parecchi parlano di trasformismo e, sulla scia della rivolta americana contro Washington, si chiedono se questa sia la giusta ricetta per contenere l’anti-politica. Il Fatto sostiene che il 65% degli italiani sarebbero incerti o penserebbero di astenersi sul referendum costituzionale. A oggi solo il 22% sarebbe intenzionato a dire di sì in quel voto cruciale, dal quale, stando alle dichiarazioni del premier, dipenderà la continuazione stessa della sua attività politica.