Può sembrare irriverente, il commento straziato che si sono scambiati gli amici innamorati di Ettore Scola alla prima incredibile notizia della sua morte. “Che palle!”, ci siamo detti e ripetuti quasi senza voce, perché Scola si era eclissato, sì,come regista, in questi anni, tolto quel suo intimissimo documentario su Fellini che poco aveva di documentario e tanto invece di rivendicazione della “politicità” di Fellini, una forza di denuncia e di intervento sul pensiero comune che la critica gli aveva sempre negato, Ettore non poteva rinunciare a combattere questo pregiudizio.
Si era eclissato come regista ma regalava il suo tempo a chiunque avesse domande, progetti, speranze, pronto sempre a interrompere quanto scriveva per sé, al suo computer al piano terra di via Mercalli, per sé e non per i posteri, anche se la sua sterminata intelligenza poteva lasciarci tesori. E di noi “questuanti” ne aveva a bizzeffe, perché era difficile rinunciare ai consigli e al giudizio dell’ultimo grande intellettuale completo del cinema italiano.
Il nostro “che palle!” significa: e adesso? Con chi parleremo, adesso? Dove andremo a bussare per parlare di tutto, politica, l’ultimo libro letto, il passato e il futuro? Scola aveva il dono dell’ironia speciale che nasce da saggezza e cultura. Aveva quella speciale generosità umana che ti rende allergico agli adulatori e alle telecamere, al presenzialismo borioso. Da militante non si negava a nessun evento che potesse incidere sulla vita politica e culturale, non si sottraeva, anche stanco, affaticato, malato, a nessuna battaglia, ma era l’emblema di quello che la nostra politica non riesce a essere mai, disincantata ma viva di un’ostinata utopia, concreta e parca di paroloni.
Aveva il dono di “leggere” il senso politico della vita comune, di leggerlo in profondità e senza falsi pudori, è curioso che tra i suoi capolavori più citati non compaia La terrazza, anno 1980, un culto assoluto per i francesi, che avevano colto prima di noi lo sguardo disperato sull’involuzione di certa politica che si delineava. Mia madre, che ha fatto la staffetta per i partigiani, sostiene che quando Sofia Loren prende in mano “quel” libro lasciatole da Mastroianni sul finale di Una giornata particolare, quella è la chiave per capire l’adesione di popolo alla Resistenza. E nessuno ha saputo mai coglierla in modo così folgorante.
La terrazza (1980)
Pochi intellettuali “di partito” hanno saputo marciare senza paraocchi come Ettore Scola, violando le regole, infrangendo i tabù, frugando tra i sottoproletari di Brutti, sporchi e cattivi e restituendoci il senso di un percorso generazionale come inC’eravamo tanto amati. Ma soprattutto nessuno si è regalato con tanta generosità a noi oscuri devoti che magari, chissà, un giorno avremmo potuto dire o fare qualcosa di buono, ma poi non aveva importanza, non ci ha mai fatto pesare il suo tempo prezioso di anziano.
C’eravamo tanto amati (1974)