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Mondazzoli, no grazie

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L’autorità antitrust ha avviato lo scorso 21 gennaio un’istruttoria sulla concentrazione “Mondadori-Rcs Rizzoli”, passata alla cronaca come “Mondazzoli”. Vicenda di cui si è parlato abbondantemente e che ha dato luogo ad una consistente fuga di cervelli, Umberto Eco in testa. E ne è seguita pure la nascita di un nuovo riferimento editoriale con Elisabetta Sgarbi. Caso di scuola  talmente palese da interrompere una deriva ventennale. E finalmente lassù qualcosa si muove. Almeno una delle autorità interessate, in attesa di una “sveglia” generale.
Le cinquanta cartelle del documento sono un’agghiacciante realistica fotografia della situazione. “All’esito dell’operazione notificata Mondadori verrà, infatti, a detenere una quota superiore al 40% del settore, tre volte superiore a quella del primo concorrente Gems e di oltre sei a quella del secondo, Newton Compton. Pertanto, l’operazione notificata comporterà la nascita di un operatore dotato di un significativo potere di mercato e determinerà l’aumento del grado di concentrazione in un mercato già concentrato”. Sono dati crudi, peraltro in difetto, visto che -ad esempio- nella saggistica tascabile (come si forma l’opinione pubblica?) si arriva al 60% del valore. Dai best seller agli e-book, ai libri per ragazzi alla scolastica: il gruppo fa cappotto. Come è stato e in gran parte continua ad essere per la televisione generalista, la patologia italiana rimane la resa incondizionata alla logica del trust. Colpevole due volte: riducendo e condizionando il pluralismo; bloccando gli scenari evolutivi. E si, perché la scarsa cultura digitale e la vaghezza dei discorsi pubblici sull’innovazione hanno una concausa proprio nell’angustia del panorama mediale. Nell’essere l’Italia un villaggio, e niente affatto globale. Se non si rimuovono le cause strutturali, la modernità  multi-piattaforma  e la rivoluzione tecnica rimangono al palo. Risucchiati dai detriti del vecchio potere analogico, magari un po’ travestito. Ecco, allora, la gravità di ciò che accade nel delicato mondo della scrittura, calco e modello di tutto il resto. Né radio e televisione, né cinema musica e teatro, neppure la rete possono prescindere dall’alfabeto primario. Una volta uniformato quest’ultimo, il castello della creatività subisce un colpo davvero letale. Che l’istruttoria arrivi a conclusione, senza tentennamenti. Insomma, l’operazione va bloccata. Non bastano “paletti” eventuali, generalmente aggirabili ed alibi per lavarsi la coscienza. Il quadro è ad alto rischio e si gioca una partita assai insidiosa, anche per l’effetto di trascinamento di un ulteriore colpo concentrativo. Altrove, un fenomeno del genere avrebbe determinato reazioni fortissime e probabilmente si sarebbe arenato da solo. Curioso poi che il capitolo del diritto d’autore sia considerato tema sensibile se si allargano i fruitori, ma privo di implicazioni invece se significa accaparramento proprietario dell’intelligenza dei saperi.
Non basta la buona azione di un’Authority. Utile, ma insufficiente. Fino a quando dovremo sopportare l’assenza di una decente normativa del e sul sistema dei media, ferma ai capisaldi del berlusconismo? Con un Testo unico del 2005 che ne rappresenta la sintesi? La riforma dell’editoria ora alla camera dei deputati potrebbe e dovrebbe ingaggiarsi su tali temi. Purtroppo, nella comunicazione siamo ancora al muro di Berlino, ai patti del Nazareno: vera metafora dell’eterna soggezione ai poteri più o meno forti. Del resto, non sarà un caso se l’unica commissione rimasta nel comando forzaitaliota è  quella che si occupa di media al senato. Ora si dovrà attendere il parere dell’ Agcom. Confidiamo nello spirito santo laico.


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