Sono due minorenni, i killer di Gisela Mota, la giovane sindaco assassinata il mattino del 2 gennaio a Temixco, una città dello stato di Morelos, a soli 60 Km da Città del Messico. Due foot soldiers, la fanteria delle gang di narcotraffico che tengono in ostaggio la nazione da sempre. Carne da cannone, arruolata tra i disperati e i ragazzini miserabili della capitale, e delle città di confine con gli Stati Uniti, Tijuana e Ciudad Juàrez, che sono tra i comuni più pericolosi in America, a livello di delinquenza legata al traffico di droga.
Così come avviene a Kingston in Giamaica, e Rio in Brasile, non è raro che queste pedine siano ingaggiate da politici o bande rivali, e usate per far fuori avversari, sovente con la complicità di mele marce nelle forze dell’ordine. Lo scontro a fuoco con gli agenti, che uccisero due membri del commando, catturando gli altri, è sospetto per le circostanze in cui è avvenuto.
La Mota era stata insediata la sera di Capodanno, e ammazzata il 2, per cui il suo municipio è durato una sola notte, il mandato più breve della storia messicana. La rapina inscenata, riporta alla memoria altre morti sospette di membri di PRD (Partido de la Revolución Democrática) il maggior partito di opposizione “a sinistra” al PRI (Partido Revolucionario Institucional) di cui fa parte Enrique Peña Nieto, presidente in carica.
Aldilà della guerra dichiarata al narcotraffico da parte dell’attuale leader, che ha consentito l’insediamento nel territorio messicano di agenti federali statunitensi, con lo scopo di affiancare e istruire le forze di polizia locali, il PRI, tornato al potere di recente, (in passato, il partito governò il Messico per 71 anni consecutivi) ha una lunga storia di corruzione, brogli elettorali, e patti Stato-Mafia, proprio con quei cartelli che oggi a parole dice di combattere.
Invischiati tra l’altro nello scandalo brasiliano Petrobras, i dirigenti sono stati accusati dal PRD di aver falsato le ultime elezioni del 2012, quelle che hanno riportato i “rivoluzionari istituzionali” al timone. Il Messico ha una nefasta tradizione di sindaci uccisi.
Tra quelli assassinati l’anno scorso, spicca la figura di Aidé Nava González, un’altra donna, decapitata e avvolta in una narcomanta, una tunica-simbolo della punizione estrema inferta dai trafficanti. Una nuova possibile messinscena. Temixco, Tijuana e Ciudad Juàrez sono, insieme alla capitale, le comunità più a rischio del Paese, dal punto di vista dei rapimenti e omicidi su commissione.
Non solo sindaci
La presenza di un migliaio di pandillas (bande di narcos) sul territorio del comune, fa di Ciudad Juàrez un centro completamente fuori dal controllo della policía judicial messicana, pesantemente infiltrata dai criminali. Situata di fronte alla cittadina texana di El Paso, forma con questa una metropoli bi-nazionale, di oltre 2.500.000 abitanti. Ciò aggrava la situazione in maniera esponenziale; gli emigrati respinti alla frontiera, tornando indietro vanno a infoltire le file della manovalanza armata agli ordini dei boss.
La media di 2.000/2500 omicidi annui, fa di CJ una delle cinque città più pericolose al mondo, insieme a Caracas, Kingston in Giamaica, Maceiò in Brasile e San Pedro Sula in Honduras, che oggi sembra detenere questo poco invidiabile primato. Nel 1993 registrò un numero altissimo di donne desaparecidas, circa 4.500 giovani scomparse, presumibilmente rapite per alimentare prostituzione e lavoro in schiavitù.
A causa dei rapporti d’affari tra i narcos messicani e i loro “colleghi” colombiani e brasiliani, incentrati sulla produzione di cocaina, le tre nazioni rappresentano il vertice del traffico di stupefacenti in America. Questo primato accomuna Brasile, Colombia e Messico anche riguardo omicidi perpetrati ai danni di giornalisti; oltre cento operatori dei media assassinati brutalmente in Messico dal 2000; la maggior parte dei casi rimane insoluta, anche grazie alle connivenze nei settori corrotti della polizia. La Colombia segue al secondo posto con 50, e infine il Brasile completa il podio con 35.
Il Messico, solo nel biennio 2104-2015, ne conta 36. Tra questi massacri, spiccano soprattutto quelli di Rubén Espinosa Becerril, torturato e ucciso il 1 agosto 2015 a Città del Messico, e la giornalista Maribel Alva Larrazolo, trucidata il 28 dicembre proprio a Ciudad Juàrez.
Nel link, la lista completa dei caduti: List of journalists and #745152
Conclusioni
Gli indizi che portano alle conclamate connivenze tra agenti e cartelli della droga, sono evidenti nelle morti del giornalista Lopez Bello e il suo fotografo, avvenute nel luglio 2013. La Ong che segue il caso, abbandonato dalle autorità, ha dichiarato che i due furono arrestati dalla polizia di Oaxaca mentre fotografavano un’insegna, inneggiante alla gang locale. Da quel momento non si seppe più nulla, fino al ritrovamento dei cadaveri.
Il governo federale in carica, data la lunga storia di corruzione che caratterizza il partito rappresentato, sembra il meno indicato ad arginare questo fiume di sangue. Non è un caso che i tre anni iniziali del suo mandato, siano stati i più cruenti, sotto il profilo omicidi di amministratori e addetti stampa, del Nuovo Millennio.