Si apre il 27 gennaio il processo a sette giornalisti marocchini imputati di “minaccia alla sicurezza dello stato” e “omessa denuncia di finanziamenti esteri”. La maggior parte di loro rischia fino a cinque anni di carcere. Per Amnesty International, si tratta di prigionieri di coscienza e il processo nei loro confronti costituisce un nuovo capitolo della repressione contro la libertà d’espressione in Marocco.
I sette imputati hanno preso parte a un progetto, realizzato con fondi esteri, per formare un gruppo di citizen journalists all’uso degli smartphone: un’attività che, secondo le carte del fascicolo, potrebbe “destabilizzare la fiducia dei marocchini nelle istituzioni”.
Maati Monjib (nella foto) è l’imputato più noto. Conosciuto all’estero per i suoi regolari contributi a media internazionali e forum accademici, ha fondato il Centro studi Ibn Roch, fa parte dell’Associazione per il giornalismo investigativo (Amji) ed è presidente dell’Ong “Libertà adesso”.
Gli altri sei giornalisti sotto processo sono: Abdessamad Ait Acha, ex impiegato del Centro stud Ibn Roch e membro dell’Amji; Hicham Mansouri, ex impiegato dell’Amji e recentemente scarcerato dopo aver trascorso 10 mesi in prigione per una pretestuosa accusa di adulterio; Hicham Khreibchi, fondatore ed ex presidente dell’Associazione per i diritti digitali; Rachid Tarik, presidente dell’Amji; Maria Moukrim, ex presidente dell’Amji; e Mohamed Essaber, presidente dell’Associazione marocchina per l’educazione giovanile.
Il co-fondatore di “Libertà adesso”, Ali Anouzla, è al centro di un’altra vicenda processuale che potrebbe procurargli fino a 20 anni di carcere per “supporto”, “istigazione” e “incitamento” al terrorismo. Le accuse si riferiscono a un articolo pubblicato nel 2013 da Anouzla sul suo sito lakome.com (poi chiuso) nel quale aveva mostrato e criticato un video di propaganda del gruppo armato al-Qaeda nel Maghreb islamico.
In un procedimento separato, Ali Anouzla deve rispondere anche di “minaccia all’integrità nazionale” per aver usato l’espressione “Sahara occidentale occupato” in un’intervista pubblicata dal quotidiano tedesco “Bild” lo scorso novembre. Anouzla sostiene di essere stato mal tradotto e di aver solo detto “Sahara”. Come noto, le autorità marocchine rivendicano la sovranità sul Sahara occidentale, il territorio annesso dal Marocco nel 1975. Rischia fino a cinque anni di carcere.