di Elena Paparelli
I reportage dall’Africa fatti da giornalisti professionisti veicolano spesso un’immagine del Continente – dei suoi tanti Paesi – per lo più uniforme, ma non sono pochi coloro che si dichiarano “vittime” di una corrispondenza estera appiattita su stereotipi spesso strumentali.
Anche sul web cominciano a spuntare iniziative e campagne che puntano ad alzare l’asticella dell’attenzione relativa ai modi di comunicare l’Africa e ai suoi luoghi (non) comuni.
“Anche le immagini uccidono” è uno di questi: una campagna di sensibilizzazione sociale promossa da Redani – Rete della Diaspora Africana Nera in Italia, attiva dal 2015, che punta a porre sotto i riflettori l’uso poco attento delle immagini ad opera di Associazioni e Organizzazioni non governative per la raccolta fondi destinati ad aiuti umanitari.
Un aspetto che per i non addetti alla comunicazione può sembrare secondario ma che è invece centrale nella riproposizione di un racconto appiattito su immagini di donne e bambini africani che muovono unicamente a compassione.
La strumentalizzazione della sofferenza operata dall’Occidente in particolare in Africa ha già prodotto discorsi critici come quello proposto nel film di qualche anno fa Enjoy Poverty, relizzato dal fotografo olandese Renzo Martens.
Ma gli interrogativi sono sempre attuali: quale la giusta comunicazione su cui ragionare per tutelare l’immagine di chi è in difficoltà e richiedere per lui un aiuto umanitario tutelandone però la sua dignità? Quale la giusta misura fra comunicazione del dramma e narrazione di tanti aspetti profondi della vita di un popolo?
Nella ricerca di nuovi modi di raccontare l’Africa i social aiutano: su Twitter è spuntata l’iniziativa #TheAfricaTheMediaNeverShowsYou che si è posta come punto di raccordo fra le varie immagini del Continente che sfuggono ai media tradizionali, dando spazio ad una narrazione più diversificata delle tante realtà che in esso vivono.
Ma social come Facebook suscitano anche parecchie perplessità e c’è chi punta il dito contro una vera e propria “moda” folkloristica portata avanti da ragazze bianche che postano sulla loro pagina Facebook foto scattate con bambini di colore.
Anche se poi è sempre su Facebook che si trova una campagna come “The Real Africa: Fight The Stereotype“, contro gli stereotipi nella comunicazione sull’Africa.
A lamentare il racconto stereotipato sono gli stessi fotografi africani, che, da parte loro, cercano di raccontare il loro Paese secondo il loro punto di vista.
In giro ce ne sono di bravissimi, e, anche qui, nel comunicare l’esistenza di tanti professionisti dello scatto, sarebbero da evitare gli stereotipi del professionista che lavora in contesti fatti da studi scalcinati e armato di macchine fotografiche anni Settanta/Ottanta, pur se esistono naturalmente fotografi africani che non hanno svolto alcun percorso formativo preciso nell’avvio alla professione.
Progetti come Phografika di Andrien Tache, che dalla Mauritania al Burkina Faso fino al Mali ha costruito un reportage sul reportage, ritraendone i protagonisti locali fra antiche Pentax e Polaroid, possono essere utili a capire in quali contesti viene spesso esercitata una professione che all’Occidentale medio sembra esclusivo appannaggio degli stranieri. Ma, appunto, questa raccontata da Tache è soltanto una piccola parte di una realtà molto più complessa fatta di professionisti affermati che lavorano anche per grandi agenzie internazionali.
Alla domanda posta a vari blogger relativa a quale sia oggi un buon fotografo contemporaneo africano spuntano vari nomi, di varia provenienza: Nana Kofi Acquah, Boniface Mwangi, Jim Chuchu, Malick Sidibe, Echwalu, Jodi Bieber, Nyani Quarmyne, Tanto per citarne alcuni. E poi c’è il gruppo dei valenti fotografi nigeriani come Adeola Olagunju, George Osodi, Aisha Augie-uta,Ade Adekola, Andrew Esiebo, Emeka Okereke, Uche Okpa-Iroha, Uche James-Iroha.
Esempi delle diverse professionalità in attività, degni eredi del grande Seydou Keita.
E poi, naturalmente, ci sono gli scatti raccolti nell’African Journalism Database, che promette di diventare una tappa obbligata per il fotogiornalismo d’eccellenza del Continente, e di cui Voci Globali ha già scritto.
Intanto il 2015 si è chiuso all’insegna degli scatti con la Sesta edizione del LagosPhotoFestival curato dalla fotografa Cristina de Middel, a Lagos, in Nigeria.
Un appuntamento che va avanti ormai dal 2010 e che mira a stimolare – se mai ce ne fosse bisogno – la produzione fotografica nel Paese. Quest’anno, con il tema del “Designing Futures”, il festival ha indagato la relazione fra design africano, radici, futuro del Continente e, appunto, linguaggio attraverso cui raccontarlo.
L’enorme dimensione del continente africano, ben sintetizzabile in questo disegno, “autorizza” una esplorazione fotografica dall’alto attraverso cui coglierne le diversità anche paesaggistiche: dal Cairo a Città del Capo, “Africa in Volo“, della rivista Africa, è un riuscito esempio di incontro fra arte e documentazione fotografica.
Da poco si è anche conclusa la Mostra allestita al Museum of Modern Art In and Out of The Studio: Photographic Portraits from West Africa, 80 ritratti scattati fra il 1870 e il 1970, fra fotografie, cartoline e negativi originali.