BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

L’abbaglio

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Non l’ha nemmeno nominato Enrique Pena Nieto, presidente del Messico, Joaquin “El Chapo” Guzman, nel suo discorso in diretta tv. Solo su twitter, quando questa mattina ha dato la notizia. Ripeteva un generico “delinquente”. Apprezzamenti fortissimi sono arrivati dagli Usa dove tutti si aspettano l’estradizione che qui invece non si da affatto per scontata. E’ uno importane Guzman, ha ancora il suo peso anche se catturato. E oggi in Messico e non solo si parla solo di questo.

Fatti come questi, che sono assolutamente fatti clamorosi, hanno lo strano dono di offuscare tutto il resto. Sono come dei fari abbaglianti che vengono incontro e che catalizzano l’attenzione impedendo di vedere il resto. Prima l’assassinio di Gisela Raquel Motta (nella foto), sindaco di Temixco, nella stato di Morelos. Poi, ancora più clamorosa, la cattura, l’ennesima, del Chapo Guzman. Partiamo da quest’ultimo. Il Chapo lo hanno preso nello stato di Sinaloa, a Los Mochis. I marines messicani hanno circondato l’edificio dove si trovava e hanno avuto bel daffare per avere la meglio. Saranno cinque i morti tra gli uomini di Guzman alla fine dell’operazione. Pare quasi banale che a potenza di fuoco la questione non era così impari come si può pensare. I narcos erano attrezzati come quando si combatte una guerra, perché di quello stiamo parlando. Fucili di precisione, lanciarazzi e tutto ciò che si può immaginare. Che l’azione l’abbiano svolta i marines ci dice tra le altre cose che la polizia federale del posto è stata tagliata fuori. Una scelta precisa visto che i narcos, non da oggi, hanno a libro paga rappresentanti della legge, delle forze armate, della finanza, dei media… Non è neppure più di un mostro tentacolare che stiamo parlando. Se è difficile trovarla da qualche parte, nel mondo, una chiara distinzione tra legalità e illegalità, qui è una partita persa in partenza perché il sistema è di per se inquinato nella sua più piena accezione, quindi la relazione tra chi dispone di grossi capitali e chi ne vuole disporre è automatica. Una situazione che si è consolidata pur nell’apparente caotica situazione che vive il Paese negli ultimi anni che hanno visto il passaggio dalla sola esistenza dei vecchi cartelli al proliferare a volte anche in conflitto di forme di crimine organizzato dedite alle più varie attività.

Sono i milioni di dollari che sono stati accumulati in questa modo, non solo dagli  stupefacenti, che determinano realmente i rapporti di forza e che decidono le campagne elettorali, le decisioni politiche. Pensare a gente come El Chapo pensando che siano solo dei narcotrafficanti è un grave errore. I loro investimenti sono in qualsiasi campo. Diversificare è una necessità che è diventata opportunità. Non c’è un aspetto della vita su cui non gravi il sospetto di collusione se non peggio, con questo o quel cartello, con questa o quella organizzazione criminale. El Chapo Guzman rappresenta oltre che il Re dei narcos anche certezze, non solo economiche, per persone che determinano la vita di questo Paese. Non sono ancora chiari i particolari dell’azione di oggi, ma il sospetto che qualcuno lo abbia tradito è molto forte. Perché tornare nel Sinaloa se non si fosse sentito sicuro? E chi gli garantiva tale sicurezza? Rispondere a queste domande senza fermarsi al suo solo caso sarebbe un buon punto di partenza per sciogliere solo uno degli innumerevoli nodi che ingarbugliano una situazione in cui dubitare di chiunque è la norma. Qui non si coprono ruoli di potere se non c’è l’avvallo o l’interesse di qualcuno.

Gisela Raquel Motta faceva parte di una corrente del Prd, forza politica per altro non esente da connivenze col crimine organizzato ed episodi di corruzione.

E’ il cinquantunesimo sindaco uccisa in Messico in questi ultimi anni. Un dato sconcertante però solo il giorno dopo la sua morte sono state uccise altre diciotto persone che di certo non saliranno agli onori della cronaca. Se mai è poi mai è un gioco scorretto dividere il mondo in buoni e cattivi, se c’è una lezione che ci insegna il Messico è che proprio qui non si può neppure provare a fare.


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