[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Yash Tandon pubblicato su Pambazuka News]
Il lago Naivasha si trova a meno di un’ora di distanza da Nairobi, a un’altezza di 1.884 metri, in una zona geologica che presenta una combinazione di rocce vulcaniche e depositi sedimentari. È alimentato dalle acque perenni dei fiumi Malewa e Gilgil nella zona più alta della Rift Valley. Quando si arriva, il paesaggio sembra un paradiso, o forse meglio è dire, lo sembrava. La prima volta che ci sono andato da ragazzo era il 1957. Sono rimasto incantato dalla sua bellezza – rive rigogliose di acacia gialla, nell’acqua cristallina si potevano vedere diverse specie di pesci… e, sì, anche gli ippopotami. Guardando verso il cielo si ammiravano centinaia di uccelli, compreso il fenicottero dalle piume rosa, che emigrava dal lago Nakuru, e farfalle multicolori. Il lago era il mezzo di sostentamento per centinaia di pescatori e forniva l’acqua alla comunità di agricoltori.
Sono tornato al lago una cinquantina di anni dopo, nel 2009. Ero costernato, quasi disperato. Il lago e la zona circostante erano irriconoscibili. Rose e enormi serre ovunque – nessuna farfalla e nessun pesce. Un sacrificio in nome dello “sviluppo”. Il lago e la zona circostante erano state trasformate in un inferno. Certo, lo sviluppo è importante, ma a quale costo?
Il modello di crescita del “libero commercio”
Questo modello di crescita si basa sull’ipotesi che “il mercato” promosso dal “libero commercio” sia il mezzo più efficiente per distribuire le risorse del mondo. Ogni nazione deve cercare di specializzarsi nella produzione di materie prime e servizi in cui è maggiormente competitiva.
Ma il “libero commercio” è un’invenzione. Non è mai esistito nemmeno durante il tanto lodato periodo commerciale inglese del XIX secolo. La nazione che per prima ha sfidato questa invenzione è stata l’America, subito dopo l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1776. “Non vogliamo coltivare cotone e tabacco per sempre, e importare i vostri prodotti“, hanno detto gli Americani agli Inglesi, “vogliamo diventare anche noi una nazione industrializzata“. Tra il 1820 e il 1870 (in 50 anni), gli Stati Uniti hanno eretto barriere contro le importazioni dall’Inghilterra e hanno iniziato la propria rivoluzione industriale.
L’Africa è indipendente da quasi 60 anni, e continua ad esportare caffè, cotone e fiori importando praticamente tutto il resto – compresi i prodotti agricoli. Nei grandi negozi di Nairobi si possono comprare cosce di pollo surgelate e fagioli in scatola provenienti dall’Europa. Questi prodotti ampiamente sovvenzionati sono in concorrenza con i produttori keniani a cui sono negate le sovvenzioni dalle norme dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, NdT). In pratica si tratta di una guerra asimmetrica tra le grandi aziende europee e i piccoli agricoltori keniani, ed è lo stesso per il resto dell’Africa. Tutto questo è immorale. E secondo le convenzioni delle Nazioni Unite, è anche illegale.
Circa 15 anni fa, i fiori venivano prodotti da centinaia di piccoli produttori, e fornivano i mezzi di sostentamento a centinaia di famiglie. Adesso invece sono prodotti da poche multinazionali, e uno dei loro vanti è la Magana Flowers Kenya Ltd:
Creata nel 1994, la nostra azienda si è sviluppata attraverso le maggiori attività della floricoltura in Kenya. Esportiamo circa ventiquattro milioni di rose ogni anno in Svizzera, Francia, Germania, Olanda, Scandinavia, Regno Unito, Russia, Giappone, Australia e nel Medio Oriente. Con sede a Nairobi, Magana Flowers Kenya Limited dà lavoro a circa 600 persone, altamente qualificate, che si occupano di tutte le fasi della crescita delle rose. I membri del nostro staff si occupano delle piantine, sviluppano tecniche per il miglioramento della semina, monitorano la crescita delle piante e controllano la presenza di batteri o insetti. La nostra azienda utilizza le tecniche più recenti per il controllo degli organismi nocivi e per la gestione del suolo per produrre piante di rose sane che sono spedite agli importatori entro 48 ore dalla loro raccolta. Inoltre sviluppiamo nuove varietà di rose attraverso la ricerca. Coordinando la produzione di rose sane, rigogliose e resistenti alle malattie, conduciamo programmi sull’alimentazione per determinare quale alimento produca i fiori più belli e duraturi. Ecco perché la nostra azienda produce le rose recise di migliore qualità in Africa.
In questa situazione socio-ecologica già molto fragile, l’”Alliance for a Green Revolution in Africa” (AGRA) ha effettuato investimenti discutibili. L’AGRA, che è stata creata dalle fondazioni Rockefeller e Gates, afferma di aiutare l’Africa a coltivare raccolti e fiori esportabili di alta qualità per sostenere lo sviluppo in Kenya. Utilizza coltivazioni agro-chimiche certificate da brevetti multi-genoma.
Chi possiede le fattorie a Navaisha, insieme alle agenzie che sono impiegate per acquistare, spedire, immagazzinare, tutelare e trasportare i fiori ne ha tratto enormi profitti, ma i produttori diretti – i lavoratori salariali – ne ricevono molto meno. Le multinazionali affidano la crescita dei fiori anche a piccoli agricoltori africani, che vivono lontano in condizioni ambientali squallide e fragili e coltivano garofani e rose rosse per gli innamorati che festeggiano San Valentino in Europa mentre loro… vivono alla giornata.
L’accordo di partenariato economico (APE)
L’industria floricola è stata il motivo principale che sta dietro l’Accordo di partenariato economico (APE) firmato dal Kenya con l’Unione Europea nel 2014. Attualmente gli attivisti sociali europei stanno lottando contro il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP) imposto dagli Stati Uniti. Temono che il TTIP possa aprire la strada ad un controllo globale dell’economia europea, e indebolire la loro sovranità. Eppure sembrano non sapere che per più di quarant’anni (dalla Convenzione di Lomé nel 1975), l’Africa ha subito “aggressioni” simili al TTIP.
Il Kenya ha firmato l’APE nel settembre del 2014 subendo pressioni dal “Kenyan Flower Council“. In un’intervista, il CEO del KFC, Jane Ngige, l’ha definito una “missione per promuovere gli interessi economici, sociali e politici dell’industria floricola attraverso una partecipazione attiva nella determinazione e nell’attuazione delle politiche“. Ad ottobre del 2015, al KFC hanno aderito 94 fattorie come produttori e 62 come associate – che rappresentano la filiera e i servizi correlati dei maggiori venditori e distributori nel Regno Unito, in Olanda, in Svizzera e in Germania.
Mentre il governo del Kenya si è arreso all’Europa, i suoi cittadini cercano di reagire. Nel 2007, il Kenya Small Scale Farmers Forum (KSSFF) ha presentato una causa contro il proprio governo, affermando che gli APE mettono a rischio il sostentamento di milioni di agricoltori. Il 30 ottobre del 2013, l’Alta Corte del Kenya ha si è pronunciata a favore del KSSFF, consigliando al governo del Kenya di stabilire un meccanismo per coinvolgere tutte le parti interessate (inclusi i piccoli agricoltori) nei negoziati sugli EPA, e di incoraggiare un dibattito pubblico sulla questione.
È stata l’ultima volta che si è sentito parlare della sentenza della Corte.
L’OMC pare il regno dell’assurdo
Ogni giorno dal Lago Naivasha vengono estratti circa 20.000 metri cubi d’acqua per l’industria floricola. Il lago sta morendo: ufficialmente la superficie è di 130 chilometri quadrati, ma nel 2006 si era ridotta di circa il 75% rispetto al 1982. Le paludi di papiro che davano da mangiare ai pesci si sono prosciugate. A centinaia di produttori e pescatori sono stati tolti i mezzi di sopravvivenza. Le persone affrontano problemi gravi per mancanza di cibo e acqua. In pratica, nel momento in cui i fiori acquiferi del Lago Naivasha volano ad Amsterdam, il Kenya sta esportando acqua in Europa. E questa situazione non sembra “Il regno dell’assurdo”?
Nel 2013, il Kenya ha esportato 124.858 tonnellate di fiori per un valore di circa 507 milioni di dollari. L’OMC si è congratulata con il Kenya per aver finalmente trovato la propria posizione nella “catena del valore globale”. Gli apologeti della teoria dello sviluppo sono d’accordo, tutto ciò che deve fare adesso il governo keniano è di tassare i ricchi e distribuire la ricchezza fra i poveri. Un altro teatro dell’assurdo. Chi sta prendendo in giro chi?
Il rapporto di diseguaglianza – misurato dal cosiddetto coefficiente di Gini (calcolato utilizzando la spesa per il consumi pro capite) – sta di fatto peggiorando. I ricchi diventano più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Le statistiche non raccontano la vera storia. Andate a Nairobi e guardate voi stessi le condizioni del “precariato” – le classi operaie proletarie senza una prevedibilità della vita o una sicurezza di base.
Mentre i dignitari dell’impero e le nuove colonie si sono incontrati a Nairobi lo scorso dicembre per la 10° Conferenza Ministeriale dell’OMC, il precariato è rimasto nascosto altrove nelle periferie della città.
Benvenuti a Nairobi! Benvenuti alla 10° Conferenza Ministeriale dell’OMC.